Rosa Wallington e Jenny Hollingworth avevano 16 anni quando hanno realizzato il loro debutto, “I, Gemini”, nel 2016. Si sono conosciute da bambine, nella scuola che entrambe frequentavano a Norwich e nel frattempo la loro amicizia si è trasformata in una collaborazione artistica che dura tuttora.
Si sono date un nome divertente, uno degli esempi che vengono fatti agli studenti per far loro capire l’importanza della virgola. Un nome che in qualche modo rispecchiava la musica con la quale si sono fatte conoscere, onirica e sognatrice, come quella di due ragazzine che guardano il mondo attraverso lenti colorate e sperimentano tutte le soluzioni possibili, per dare corpo alle loro fantasie e alla loro esigenza espressiva.
C’era un’attesa notevole, per il seguito di un disco che ai tempi aveva riscosso consensi e suscitato reazioni positive un po’ ovunque.
“I’m All Ears” arriva a celebrare la raggiunta maggiore età delle due amiche e si configura in effetti come un lavoro più adulto, più maturo. Si parte dal team di produzione, con David Wrench ad essere stabilmente coinvolto ma con contribuiti non indifferenti da parte di Sophie e di Faris Badwan dei The Horrors. Gente di un certo livello, dunque, per dar vita ad un’opera che viene giustamente concepita come un passo avanti rispetto al precedente.
Un passo avanti non indifferente, in effetti: a cominciare dai singoli di lancio, “Hot Pink”, che ha un piglio Electro Pop che si incastra alla perfezione con il recente repertorio di Lorde o Lykke Li, e “It’s Not Just Me”, che si muove su coordinate ancora più ammiccanti, con un ritornello che da solo basterebbe a far comprendere il valore del prodotto che abbiamo di fronte.
È sempre musica composta col Laptop, come hanno detto loro, e questa sorta di non convenzionalità nella scrittura (anche se ormai, a ben vedere, è un qualcosa che si sta affermando sempre di più) ha permesso alle due ragazze di far correre a briglia sciolta la fantasia, non badando alle strutture e alle forme precostituite, puntando molto sullo sviluppo non lineare dei brani. È il caso di episodi come “Falling Into Me”, che pure è un altro singolo e funziona come tale, anche se poi inserisce ulteriori sezioni, come se le autrici ci stessero pensando in quel momento; oppure, addirittura, “Cool & Collected” e “Donnie Darko” (che non parla del film ma lo usa come pretesto per la situazione narrativa): durano nove minuti la prima, dodici la seconda, toccando una differente gamma di influenze e di intenzioni, dosando sapientemente le parti più improntate all’elettronica, quelle maggiormente d’atmosfera e quelle dove invece prevale l’immediatezza delle melodie.
Il tutto condito da testi che per la prima volta si focalizzano sull’esperienza personale, sul vissuto interiore (“Strano che accada adesso, quando abbiamo tante persone che ci ascoltano – hanno dichiarato – sarebbe stato meglio farlo sul primo disco, quando eravamo ancora sconosciute e in pochi erano interessati a quello che cantavamo.”) ma anche su tematiche sociali (“Hot Pink”, per esempio, parla di identità sessuale) e da una copertina opera dell’artista newyorchese Yanjun Cheng, che riprende in qualche modo la componente fiabesca e vagamente psichedelica degli esordi.
Difficile, a questo punto, dire se sia o no un disco riuscito. In giro se ne sta parlando benissimo, da più parti appaiono già destinate ad una sicura esplosione Mainstream, stanno suonando già un po’ dovunque nell’ambito dei più importanti festival in giro per il mondo e quest’autunno apriranno il tour europeo dei Chvrches. È indubbio che siano ormai diventate la Next Big Thing da guardare.
Per quanto mi riguarda, preferisco di gran lunga questo al loro debutto, che pure aveva spunti interessanti. Qui è in effetti notevole la maturazione e alcune canzoni sono davvero ben riuscite. L’insieme appare però poco coerente e a tratti confusionario, come se l’aver voluto a tutti i costi indulgere nelle sperimentazioni e inserire tutto ciò che aggradava loro, senza badare al minutaggio, alla lunga rischiasse di disorientare l’ascoltatore. Per carità, i brani lunghi, dopo alcuni ascolti, rivelano tutte le loro potenzialità, pur non essendo immuni da momenti di stanca e di pezzi davvero brutti non ce ne sono.
Si apprezza dunque la varietà della scrittura, la sfrontatezza del non voler aderire a tutti i costi ai cliché del Pop da classifica, ma la sensazione è che ci sia ancora molto da migliorare, prima di poter attribuire ad un loro disco il massimo dei voti.
Per il momento, comunque, va bene così. “I’m All Ears” è indubbiamente da sentire, l’aria disincantata di Rosa e Jenny, il modo in cui si divertono a suonare i loro pezzi, il fatto che prendano ancora tutto come un gioco, che vivano la musica come la più grande passione della loro vita, le rende già interessanti in partenza. Tutto il resto, è lecito pensarlo, verrà col tempo.