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REVIEWSLE RECENSIONI
22/12/2021
Dave Gahan & Soulsavers
Imposter
Un disco di cover, alcune di canzoni famosissime, ma reinterpretate con sensibilità, grazie alla voce calda e profonda di Dave Gahan.

Con Imposter continua la collaborazione fra Rich Machin e il frontman dei Depeche Mode, Dave Gahan, con un terzo disco che segue i due acclamati album The Light The Dead See nel 2012 e Angels & Ghosts nel 2015. Per questo nuovo lavoro insieme, però, i due musicisti hanno spostato l'attenzione sulle canzoni e sugli artisti da cui sono stati influenzati, rinunciando a dare vita al materiale originale.

Come affermato in molte interviste, Gahan ha giocato un po' con il tema dell'impostore, per sottolineare che lui, frontman di una band che suona le canzoni composte da Martin Gore, anche oggi si trova a reinterpretare canzoni che non ha scritto. Sempre sotto mentite spoglie, dunque, se non fosse che il cantante britannico arricchisce questi brani con la propria personalità e la propria forza interpretativa, indipendentemente da quanto familiare possa essere la canzone originale. Una scaletta di cover che trovano nuove vesti, e soprattutto nuova personalità, grazie alla sensibilità di un artista la cui voce è diventata un inimitabile marchio di fabbrica. La sua cover di "Lilac Wine" (che Jeff Buckley ha fatto sua su Grace), ad esempio, assume le caratteristiche di un viaggio interiore, come se Gahan stesse cantando mentre setaccia vecchie foto, ricordi e pungoli dell’anima. Se la rilettura di Buckley era estasi e sospensione, qui troviamo un mood meditabondo, che tiene l’ascoltatore sospeso sul crinale di uno sprofondo emotivo.

Cosa che avviene anche "A Man Needs A Maid" di Neil Young, una canzone che nella versione originale era gonfia di orchestrazioni e che, invece, nelle mani di Gahan assume, una fragilità straziante e un andamento contemplativo, esaltato dalla leggerezza del tocco di Sean Reed al pianoforte.

Altrove, per converso, l'euforica spacconeria blues che è sempre emersa nelle collaborazioni con Machin, prende per mano la rumorosa "I Held My Baby Last Night" (Elmore James), che fu coverizzata dai Fleetwood Mac, mentre il crescendo elettrico della splendida "Metal Heart" di Cat Power scartavetra la pelle grazie a una voce, a cui il tempo ha dato ulteriore profondità e che, oggi, sembra capace, di padroneggiare quasi ogni genere.

Due cover in particolare toccano il cuore: una versione di "Shut Me Down" di Rowland S. Howard, originariamente registrata per l'ultimo album dell'ex chitarrista dei Birthday Party, e l’arcinota "Always On My Mind. Shut Me Down" è una canzone agrodolce che Howard scrisse mentre stava morendo di cancro e che è, quindi, indissolubilmente legata alla sua morte prematura. Gahan incanala quell’originale senso di rimpianto in volute di rassegnata malinconia appena sfiorate da leggeri refoli di vento, come se volesse evocare un barlume di speranza che sfiora le desolate rovine di un destino segnato.

E poi, "Always On My Mind", una canzone famosissima, coverizzata centinaia di volte, ma di cui spesso non si afferra il messaggio, viene qui eseguita con una semplicità disarmante, mettendo così a nudo le vulnerabilità e il tormento interiore di un uomo che si scusa con la propria amata per non riuscire ad amarla come lei vorrebbe. Un momento intenso e cruciale, messo a fine scaletta come una sorta di tributo di Gahan ai suoi fan, a cui, evidentemente, vorrebbe regalare molte più canzoni di quelle finora scritte. La chiosa perfetta per un album davvero brillante, che potrebbe rappresentare per il cantante dei Depeche Mode l’inizio di una seconda giovinezza, come furono gli American Recordings per Johnny Cash.