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REVIEWSLE RECENSIONI
03/02/2021
TERSØ
Iperfamiglia
Vero che sono passati già due anni da “Fuori dalla giungla”, ma ugualmente non ci saremmo aspettati che, in tempi in cui il formato album, sebbene non scomparso, appare sempre meno fondamentale, i Tersø si sarebbero dati come priorità quella di fornire un seguito al loro esordio su full length.

E invece “Iperfamiglia” è fuori, anticipato dai due singoli, “Laser” e “Aurelia”, che ci hanno accompagnato durante l’autunno e che evocano visioni malinconiche di un’era che sembra lontanissima, quando ancora ci si assembrava nei locali, si facevano lunghe file all’ingresso e le notti d’estate erano fatte per stare svegli. Oggi sembra di stare in una distopia e più passa il tempo più si fa concreta l’impressione che quel “quando tutto tornerà come prima…” che ci dicevamo a ripetizione per consolarci, sia sempre molto al di là da venire.

Nel frattempo i dischi escono, perché la vita deve continuare ma un disco senza un concerto per farcelo godere, che disco è? Domanda inutile, probabilmente, visto che al momento di alternative non ne abbiamo.

“Iperfamiglia” consolida i Tersø come una formazione a due elementi, con Marta Moretti e Alessandro Renzetti, già in precedenza nucleo compositivo del quartetto, a prendersi anche formalmente il ruolo di componenti effettivi della Line up, lasciando Luca Ferriani e Alessio Festuccia nelle retrovie; è solo una precisazione tecnica, tuttavia, perché loro stessi ci tengono a dire che le complesse architetture delle loro canzoni sono frutto dell’elaborazione congiunta di tutti loro, nonostante le idee iniziali partano sempre da Marta e Alessandro.

Presentati quasi ovunque come un gruppo Synth Pop, io stesso ci ero cascato ai tempi del disco precedente ma probabilmente a questo giro l’etichetta è riduttiva. Le otto canzoni che compongono questo lavoro vivono di una costruzione elettronica a più strati, tessiture sovrapposte che non fanno semplicemente da accompagnamento alla voce ma pulsano di vita propria, quasi fossero piccole suite sul modello di compositori come Four Tet, Nils Frahm, Jon Hopkins e gente così. A dir la verità tra le loro influenze citano più spesso FKA Twigs, Rival Consoles e A.G. Cook, ma il concetto è abbastanza chiaro. Non è musica per ballare, la loro. Soprattutto a questo giro, dove l’oscurità è maggiore e si respira una malinconia costante, anche nei momenti in cui i BPM accelerano e compare la cassa dritta (“Veg” e “Dehors” in particolare).

Passo avanti notevole nella definizione dei contorni strumentali, con le linee vocali di Marta sempre più a fuoco, nel costruire canzoni che sono certamente potenziali hit (la forza melodica di “Aurelia”, i ritornelli di “Oceani”, “Eiger” o “Rosenthal” sono lì da vedere) ma che allo stesso tempo portano dentro un tocco di claustrofobia e possibilità perdute. Dipende dal senso di rimpianto, di perdita evocato a più riprese dalle basi ma anche dai testi di Marta, cresciuta tantissimo anche sotto questa dimensione, che si distaccano definitivamente dai cliché del mondo Indie, per approdare ad una dimensione più consapevole, in una costante dialettica tra sé e il mondo, una cura dei dettagli che dice di un’amore alla realtà e uno sguardo sul mondo che non disdegna correlativi oggettivi da apocalisse imminente (“Cadono tutti i governi, io scrivo l’ultima mail”; “Eravamo nello stesso posto ma non ci siamo visti”) ad immagini di inedita speranza (“Nascono fiori tropicali tra i reattori nucleari”).

In una galassia musicale indipendente che dopo la sbornia It Pop potrebbe anche trovarsi alla vigilia di una mutazione decisiva, i Tersø aggiungono un ulteriore tassello al loro percorso e si configurano come una delle realtà più interessanti al momento in circolazione in Italia. Gli ingredienti per fare il salto di qualità al momento ci sono tutti.


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