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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
25/07/2023
Live Report
Širom, 22/07/2023, Ground Festival, Val Trompia
Nell’alveo degli artisti etichettabili come “sperimentali” i Širom sono indubbiamente tra i più poetici ed evocativi, e posseggono anche un’attitudine live che li rende paradossalmente fruibili anche a chi masticasse normalmente poco di queste sonorità. Il trio sloveno questa volta ha suonato in Val Trompia, al verdeggiante Ground Festival, per la prossima vi invitiamo di già a tenervi liberi: meritano.

Era da un po' che inseguivo i Širom, da quando il loro ultimo The Unifying Throne of Simplicity è entrato nella mia personale classifica del 2022, colpendomi con la sua proposta inclassificabile e allo stesso tempo tremendamente affascinante.

Avevano suonato a Pisa qualche mese fa ma per me era piuttosto scomodo. Adesso, complice il sabato sera, la stagione estiva ormai inoltrata, e il fatto che il gruppo sembra evidentemente affezionato nostro paese, riesco per fortuna ad avere un'altra occasione.

 

L'acronimo BAO (Brescia Arts Observatory) indica uno dei progetti dell’Aps Lampedée, associazione culturale che dal 2017 si occupa di promozione sociale in ambito musicale. Il Ground Music Festival è una delle loro iniziative, ha a che fare col rapporto tra musica e natura e consiste nel portare ogni anno alcuni artisti, nazionali e internazionali a suonare in location suggestive della provincia. La rassegna (che, se non ho capito male, è giunta alla terza edizione) si è svolta in passato a Brescia e in Franciacorta, mentre quest'anno è il turno della Val Trompia.

Siamo nell'altopiano di Caregno, sopra Gardone Val Trompia, un punto che può essere raggiunto a piedi (è stata infatti organizzata un'escursione con partenza alle 17), con una navetta dal centro del paese, ma anche autonomamente in macchina, vista l'abbondanza dei parcheggi.

Il posto è decisamente suggestivo, con una vista a 360 gradi sullo splendido scenario naturale della valle, con la baita “Lo Stallino” a fungere da appoggio per birra e panini. Il palco è montato in mezzo al prato, in un punto strategico da cui potere ammirare il panorama; per terra sono state sistemate delle coperte per sedersi, una soluzione obbligata anche se non proprio delle più agevoli, visti il freddo e l’umidità.

Tutto è organizzato in modo tale da rendere sostenibile l’impatto ambientale e far sì che il luogo non venga danneggiato dall’evento (per esempio, ai fumatori vengono consegnate delle custodie di plastica rivestite di alluminio dove riporre i mozziconi). 

 

Si comincia alle 21.30, con il trio sloveno che, senza troppe cerimonie, si presenta on stage, saluta e annuncia che il programma di questa sera prevede tre pezzi, tutti estratti dall’ultimo album. Iztok Koren, Samo Kurim e Ana Kravanj provengono da tre zone diverse della Slovenia, come spiegheranno loro stessi nel corso della serata, e hanno un certo legame con l’Italia, sia per la vicinanza geografica, sia per una certa affinità paesaggistica (la zona di Tolmin, spiegano, è abbastanza simile al luogo in cui si trovano ora).

Il rapporto tra musica ed ambiente naturale fa parte della loro identità sin dagli esordi, soliti com’erano a recarsi in zone selvagge o rurali per improvvisare coi loro strumenti e trarre ispirazione per future composizioni. Anche il nuovo disco, il quarto della loro carriera, è nato così: impossibilitati a suonare dal vivo a causa del Covid, si sono dedicati a nuova musica e sono poi andati a suonare in zone di campagna, davanti ad audience ristrette. Ne hanno ricavato un documentario intitolato Vaško Podzemlje (“Rural Underground” in inglese), che costituisce la base dell’ultimo disco, nonché un utile compendio per meglio comprenderlo.

 

Descrivere quello che fanno sul palco non è semplice. La base della loro proposta è il Folk ma sarebbe decisamente riduttivo definirli un gruppo Folk. Vero che di fondo sono prevalentemente acustici e che gli strumenti sono quelli della tradizione popolare, slovena e non (sul palco, oltre a banjo, violino, ocarina e percussioni varie, si vedono anche cose particolari come mizmar, ribab, balafon, guembri) ma quando iniziano a suonare, le direzioni che prendono sono in effetti molteplici. Si sente senza dubbio l’influsso della Drone Music, nascosta nella ripetitività ossessiva di certe strutture, ma quando si lasciano andare all’improvvisazione toccano uno spettro ampio che si muove dalla psichedelia al Post Rock; il tutto, ovviamente, riletto alla loro maniera, per cui non ci sono strumenti elettrici, non ci sono sample, synth ed altro. Tutto quello che viene suonato è suonato in acustico, riprodotto in diretta da loro tre attraverso l’utilizzo in serie di tantissimi strumenti, tanto che, più che suonati, i brani appaiono a tratti costruiti sul posto pezzo dopo pezzo.

Molto presente è l’elemento percussivo, coi nostri che oltre a strumenti appositamente costruiti, utilizzano anche soluzioni particolari come sassolini versati da una tazza all’altra, tubi che agitati davanti ad un microfono producono effetti sonori, la frantumazione di oggetti che non ho identificato, e altre diavolerie del genere, che rendono molto interessante anche il lato visivo della performance.

Ci sono intere sezioni dove è il rumore stesso a diventare suono, come ad esempio in “A Bluish Flickering”, ma queste non sono mai disgiunte dai momenti in cui i tre imbracciano gli strumenti e si tuffano in nuclei melodici più facilmente riconoscibili (è il caso della prima sezione di “Wilted Superstition Engaged in Copulation”), fino allo splendido finale di “Prods the Fire with a Bone, Rolls Over with a Snake” (i titoli lunghi ed evocativi sono un altro dei loro marchi di fabbrica) dove violino e banjo (anche quest’ultimo suonato con l’archetto) sono al centro di un’accelerazione in crescendo alla quale si aggiungono vocalizzi di stampo orientale, in un continuo cambio di mood, prima che il tutto venga ricomposto all’insegna di un’algida calma.

 

Dura un’ora ma non ce ne siamo accorti, è musica in cui perdersi, così lontana da tutto ciò che conosciamo, eppure allo stesso tempo così familiare.

Nell’alveo degli artisti etichettabili come “sperimentali” i Širom sono indubbiamente tra i più poetici ed evocativi, un’attitudine live che li rende paradossalmente fruibili anche a chi masticasse normalmente poco di queste sonorità. Da recuperare al più presto, perché per quanto mi riguarda sono già diventati una droga.