“So understand
Don’t waste your time always
searching for those wasted years
Face up… make your stand
And realise you’re living in the golden years”
(Iron Maiden, “Wasted Years”, 1986)
Gli Iron Maiden riflettono su cinquant’anni di carriera stellare e celebrano i primi anni e album che sono nella memoria di tantissimi fan dell’heavy metal. La magia di questa musica irripetibile porta anche a un rinnovamento del pubblico dei fan che probabilmente ha pochi precedenti. Ieri a Padova c’erano molti appassionati attempati, sia uomini che donne, per non parlare di intere famiglie con figli piccoli al seguito e una pletora di adolescenti entusiasti.
Se volevamo la conferma che l’arte degli Iron Maiden fosse senza tempo e trasversale, il loro spettacolo a Padova è stato emblematico. Parliamo di una vera e propria lezione di storia del metal, perché la scaletta è un vero e proprio trionfo del periodo storico che va dal 1980 al 1988, e quando il primo segmento del concerto è il seguente, viene lecito commuoversi se si è antichi amanti della vergine di ferro: “The Ides Of March”, “Murders In The Rue Morgue”, “Wrathchild”, “Killers” e “Phantom Of The Opera”. Brividi al cubo.
Il resto della rappresentazione quasi “sacra” dei dogmi del metal proseguirà verso binari più canonici del repertorio classico della band, ma ci si deve ancora inchinare a capolavori indiscutibili come “Rime Of The Ancient Mariner”, “Seventh Son Of A Seventh Son” e la biblica “Hallowed Be Thy Name”.
I veri valori aggiunti sono ben tre, anzi quattro:
Uno: Bruce Dickinson: cantante prodigioso, attore carismatico, intrattenitore favoloso, tra mirabolanti cambi costume, corse tarantolate e una gestione del pubblico da grande maestro, sa anche comunicare emozioni vere, quando è necessario farlo.
Due: La band ha una grinta incredibile e dà veramente tutto. Il drumming più lineare e meno sicuro di Simon Dawson li rende forse più sporchi a livello di coesione, ma fa anche riemerge un’attitudine “operaia” che forse nel tempo si era un po' persa.
Tre: I ledwall interattivi che cambiano per ogni canzone non sono solo una tecnologia terribile e malvagia, ma rendono tutte le atmosfere immersive e terribilmente efficaci, soprattutto quando anche Dickinson ci interagisce e il tutto diventa splendidamente cinematografico e narrativo. E’ anche in questa profondità che si cela la grande bellezza delle canzoni degli Iron Maiden: vanno oltre la mera musica, sono tridimensionali. Eddie è comunque apparso in modalità mega pupazzone anche dal vivo, ben due volte.
Quattro: Il pubblico è fantastico, sempre partecipe e commovente, per ogni secondo del concerto. Amore puro e sold out ovvissimo.
Intervallo: Come nelle migliori produzioni cinematografiche, per consentire al pubblico di andare a prendersi una bibita e uno snack, intermezziamo il tutto con un pensiero alla band di supporto, gli svedesi Avatar: bizzarri, circensi, pesanti ma anche perfidamente melodici, moderni ma non troppo. Hanno fatto il loro con discreta personalità, ma sono sembrati un po' fuori contesto. Il pubblico ha comunque apprezzato.
Dato che chi vi scrive è un cronista onesto, dobbiamo anche citare cosa ha funzionato meno o che comunque pone qualche criticità da valutare.
Uno: Gli Iron Maiden non amano le commemorazioni e non sono dei sentimentaloni: nessun ricordo durante lo spettacolo per Paul Di Anno o Clive Burr, magari una foto nel Ledwall, una scritta, una dedica. Nulla. Nemmeno un saluto per l’amico Nicko McBrain, che recentemente sta portando in giro le canzoni dei Maiden con i suoi Titanium Tart. Niente anche qui. Altre band lo fanno e i fan apprezzano, come i Pantera o i Savatage. Perché i Maiden no?
Due: All’inizio il suono generale è stato impastato e ha penalizzato la voce. Forse la batteria sovrasta troppo gli altri strumenti. Il tutto migliorerà successivamente, ma non possiamo parlare di un’acustica impeccabile.
Tre: Partiamo da lontano: la sezione ritmica non è stata impeccabile e spesso ha rincorso il ritmo delle canzoni, arrivando un po' in ritardo. Sicuramente Simon Dawson sta imparando e migliorando, data dopo data. Il suo apporto è onesto, ma non memorabile. Steve Harris però sembra supportarlo in tutti i modi e lo stesso Bruce lo ha lodato anche durante il concerto. Dawson è stato l’ultimo a lasciare il palco e non è sembrato un caso. Il gruppo ci crede duro.
Quattro: Janick Gers fa volteggiare la sua Fender ma sembra molto accessorio in un repertorio che non ha scritto o suonato in studio. Non vuole essere una critica ma un’osservazione oggettiva e un modo per lodare in modo sperticato sia un Adrian Smith mai banale che un Dave Murray pulitissimo e quasi chirurgico. Molti celebrano il genio del primo, ma chi scrive valuta il secondo come uno dei chitarristi più sottovalutati della storia della musica.
In conclusione, questa serata indimenticabile si conclude con il finale ideale di “Wasted Years”, il cui testo lucido e malinconico definisce alla perfezione questo evento, ma non vediamola come una pietra tombale sulla carriera degli Iron Maiden. La band sembra aver ancora benzina da spendere e Bruce Dickinson ha aggiunto un “Ci vedremo ancora.”
E citando Rocky Balboa: “E’ finita solo quanto è finita.”
“Allora capisci
Non sprecare sempre il tuo tempo
alla ricerca di questi anni sprecati
Alzati …. fermati
E capisci che stai vivendo i tuoi anni d’oro”
(Iron Maiden, “Wasted Years”, 1986)