È dal 2019 che le Automatic ci convincono con la sofisticata estetica del loro post-punk guitar-free e, nonostante l’ostentato protagonismo dei sintetizzatori retro dispensati con lead grassi, pad dagli oscillatori disallineati quanto basta e generoso ricorso al glissato, in nessuno dei loro tre album pubblicati ad oggi può essere rintracciata la minima parvenza di qualsivoglia cliché riconducibile alla musica elettronica che va per la maggiore.
Nelle loro canzoni la traccia di tastiere (più di una simultaneamente solo quando strettamente necessario) completa con classe e misura l’ingombrante spazio vuoto lasciato dalle parti di basso e batteria a dir tanto entry-level, risponde a tono alla metrica della melodia, snocciola riff, distende tappeti rigorosamente monocromatici per una resa che fa sembrare lo strumento notoriamente più artificiale di tutti prettamente naturale.
A differenza della no-wave riveduta e corretta del disco d’esordio Signal e dell’austerità che, con un po’ di esperienza in più, aveva contribuito a ridurre ai minimi termini ogni slancio di superflua empatia nell’ottimo secondo album Excess, le Automatic del 2025 allentano le maglie del loro inflessibile rigore compositivo per prendersi qualche licenza prosaica e ampliare il registro stilistico.
Is It Now? vi stupirà per i numerosi tentativi di compromesso di varia natura di cui è disseminato e che è doveroso annoverare in ordine di apparizione. Tanto per iniziare, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di aggiungere percussioni provenienti da ben altre latitudini musicali ai canoni esclusivi delle composizioni di gente come Izzy Glaudini (voce e synth), Halle Saxon (voce e basso) e Lola Dompé (voce e batteria). Eppure, basta cliccare play e mettere “Black Box” (singolo uscito a ridosso della pubblicazione del nuovo disco) per ammettere quanto calzino a pennello.
Una trovata meno sconcertante delle rullate di rototom e del flauto in “mq9”, mentre l’effetto wow è riservato agli accordi estesi oltre la triade base e al loop breakbeat che spezza l’atmosfera (dichiaratamente detroit) della drum machine di “Mercury”.
Davvero niente male anche la trovata di arricchire il brano “Lazy” con un ritornello disinvoltamente catchy, con tanto di solerti e fintamente distratte rispostine saccenti offerte dal synth alla voce e con un tema di Moog finale. E non lasciatevi scappare l’occasione: non capita molto spesso che una cantante radicalmente indie dimostri di sapersi liberare dai vincoli imposti dalla propria inseparabile impostazione upper class per concedere alla propria nicchia una riuscitissima melodia confidenziale da hit.
A ruota, ecco la claustrofobica no wave di “Country Song”, proemio alla successiva title track, reale reincarnazione dell’anima più post-punk delle tre musiciste losangeline, e l’ipnotico e cupo dub di “Don’t Wanna Dance”, vero alter ego del prudente synth-pop anni 80 di “Smog Summer”. Chiudono l’album le autorevoli atmosfere dark di “The Prize”, riuscito apripista per l’umore indotto dall’ossessiva “Playboi” in un crescendo che culmina con l’entropia della sconclusionatissima “Terminal”.
Punta di diamante di un modo di fare musica meno che minimale, l’approccio less is more in versione anti-rock e tagliato su misura sulle capacità tecniche individuali e d’ensemble risulta ancora una volta il più adatto per un band dal linguaggio così sofisticato. La ricerca della massima essenzialità professata dalle Automatic continua ad aggiungere valore all’esperienza di ascolto. Is It Now? sembra infatti pensato per una proposta di più ampio respiro pur mantenendo i prerequisiti della personalità inconfondibile della band, uno slancio facilmente interpretabile anche come frutto del raggiungimento della maturità artistica.
Le Automatic sono sempre più raffinate ed eleganti, questa volta con un pizzico di autoironia. Per questo la risposta alla domanda posta dal titolo del nuovo album è più che affermativa: il momento, il loro, è proprio adesso.