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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
04/08/2025
Joe Satriani
Is There Love in Space?
Vent’anni e non sentirli, questo il succo di “Is There Love in Space?”, album quanto mai attuale per sonorità e contaminazioni. Se l’hard rock può essere elegante, il suo nome è Joe Satriani.

«Se sono arrivato a esibirmi con Vasco e ancora oggi sono qua lo devo anche a Satriani. Avevo suonato in un album di Alice Cooper grazie a Joe e Guido Elmi (produttore di Rossi ndr) ascoltò quel disco. Devo quindi ringraziare entrambi».

(Estratto da intervista a Stef Burns, spettakolo.it, 2018).

 

Ne è passato di tempo da quando Joe Satriani insegnava chitarra e aveva come allievi Kirk Hammett, Larry LaLonde (Primus) e Steve Vai. Da allora, “Satch” si è imposto come uno dei più grandi maestri della sei corde in circolazione: recentemente si è nuovamente esibito in Italia proprio con Vai, e lo stesso Stef Burns è stato special guest nella rovente data di Cinisello Balsamo.

Satriani è praticamente imbattibile nel tapping a due mani e tuttora rimane uno dei guitar hero più creativi e prolifici, lo dimostra il bellissimo The Elephant of Mars (2022), carico di contaminazioni e davvero ispirato. Ma veniamo a Is There Love in Space?: anche in questo lavoro gli va riconosciuto il grosso merito di essere, tra i virtuosi della chitarra elettrica, quello meno interessato a dare sfoggio delle sue doti tecniche a favore di una scrittura rivolta alla bellezza della composizione e alla cura del suono.

 

Nell’opera in questione l’hard rock ben si sposa con la fusion per limatura del dettaglio e raffinatezza, e raggiunge un risultato davvero di gran classe. È il caso di brani quali “Gnaahh”, “Hands in the Air” e “Searching”, in cui il tipico assolo lunghissimo a tutta velocità viene notevolmente ridimensionato, a favore di riff accattivanti e ritornelli melodici e aggraziati.

“Lifestyle” e “I Like the Rain” sono gli unici pezzi cantati, anche se non è la prima volta in assoluto di Satriani dietro a un microfono in un disco (basti pensare, e non è nemmeno l’unico, all’omonimo album, peraltro sorprendentemente di stampo rock blues, uscito nel 1995) ed è un vero peccato, perché non avrà una voce particolarmente bella, ma sarebbe interessante sentirlo seriamente impegnato con la tradizionale forma canzone.

 

Proseguendo nell’analisi delle tracce in scaletta, si notano continui tentativi, riusciti, di variare generi e offerta. In “Just Look Up” compare anche una timida chitarra acustica ad accompagnare la romantica ballata di turno, mentre “Bamboo”, con il figlio ZZ tra i protagonisti, si proietta in un paesaggio decisamente new age senza cadere nei suoi cliché un po’scontati.

Risultano chiaramente all’avanguardia pure “Up in the Flames”, potente e ruvida al punto giusto, e l’iconica “If I Could Fly”, divenuta ancor più celebre dopo l’accusa di plagio formalizzata da Satriani nei confronti dei Coldplay per aver usato parte della melodia nel comporre la loro hit “Viva la Vida”. La tonica “The Souls of Distortion” non delude i palati fini innamorati del wah-wah, mentre è impossibile dimenticare le positive vibes innestate nel mood dell’ascoltatore dalla title track, certamente un’altra canzone memorabile.

 

Is There Love in Space? sottolinea ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’urgenza artistica di “Satch”, immenso nel suo sogno a sei corde e pure immerso nel suo polistrumentismo che lo fa approcciare anche a basso, tastiere e armonica senza la minima timidezza, il tutto corroborato da arrangiamenti e produzione che solo un Professore come lui può permettersi, assecondato da due turnisti di gran classe del calibro di Jeff Campitelli (batteria e percussioni) e Matt Bissonette (basso).

In conclusione, il disco rappresenta un buon riassunto della carriera del chitarrista statunitense con origini italiane fino agli inizi del nuovo secolo, e getta le basi per la seguente evoluzione di un artista che non si è fermato mai, aggiungendo tasselli su tasselli al mosaico multicolore della sua storia musicale.

 

«Tutti i miei eroi sono sempre identificabili dalla prima nota. Tuttavia, dal punto di vista dell'artista, il mondo in cui ci troviamo è vasto e cerchiamo sempre di esprimerci in modi nuovi. A volte dobbiamo creare questi parametri che ci danno una “iniezione di energia” per muoverci in un diverso territorio. Non è sempre riconoscibile o palpabile per i fan, ma è una fonte di ispirazione per noi, per il musicista che lo fa».

(Estratto da ultimateclassicrock.com, Aprile 2020)