L’animazione quando piccola, sa essere davvero grande.
Sa parlare di temi difficili, in modo semplice, in modo poetico.
Prendiamo infatti It's Such a Beautiful Day che di una malattia, e lo fa attraverso un’animazione particolare, lineare, basilare, lo fa toccando tutte le corde giuste, e lo fa con una semplicità disarmante, di realizzazione, di sceneggiatura.
È quella semplicità che nasconde in realtà una grossa profondità, un lavoro dietro la macchina da presa che prevede bozze, disegni, sovrimpressioni, scelte di musica, di voci, di parole. Tutto ben calibrato.
E se all'inizio quelle parole travolgono, quelle nuvole, quelle chiazze di luci si accendono improvvise e improvvisamente cambiano, lasciando tentennanti di fronte ad un'ora di questo esperimento più simile alla videoarte che non a un lungometraggio, poi, poco a poco, ci si abitua, e a Bill si inizia a volere un gran bene.
Bill è solo, vive solo, prende l'autobus solo.
Bill è timido, con la gente fatica a parlare, si perde nei suoi pensieri, si sofferma a vedere la poesia di una scritta sulla sabbia, di un passerotto morto per strada, del modo in cui la luce si riflette su una tenda.
Condivide i suoi pensieri con un'ex ragazza altrettanto imbarazzata. Ma c'è qualcosa che non va in Bill, nelle parole che il suo medico dice e che noi, noi che siamo Bill, che siamo quella voce che ce lo descrive, non riusciamo a sentire.
Una malattia, un qualcosa che non va in quella sua testa che lui immagina abitata da un pesce, una malattia che forse, chissà, corre per tutta la sua famiglia, o forse è solo sua, gli mangia i ricordi, i pensieri, le emozioni, i nomi. E li ricostruisce, giustificando con storie, racconti, inventati, la sua presenza.
E più si va avanti, più quella malattia avanza, più Bill è solo.
Lo accompagniamo, nella stanza dell'ospedale, nel suo ritorno a casa in cui tutto si fa più ciclico, confuso, in quel viaggio che intraprende.
Senza dimenticare, mai, che ogni giornata, anche se è la stessa, è proprio bella.
È un film strano, quello di Don Hertzfeldt.
Inizialmente, composto da due soli capitoli separati, progettati e presentati in modo diviso, poi, raggruppati con l'arrivo del terzo in un film unico, presentato nuovamente ai vari festival trovando unanime consenso.
A Bill si vuole bene, perché Bill, nella sua semplicità -sia di fattezze che di animo- tocca il cuore, rappresentando quella malattia che i ricordi li mangia, li sostituisce, quelle paure, quel mondo, che ci fa paura e che in qualche modo abbiamo sfiorato.
La costruzione del film lascia a bocca aperta, quell'ingenuità dei disegni abbozzati, che prendono vita attraverso uno sfondo che cambia, un rumore che entra in scena, ricorda senza volerlo quell'altro piccolo capolavoro dell'animazione che è il brasiliano Il bambino che scoprì il mondo. Lì erano i colori, la musica, a dare vita alla storia, senza bisogno di dialoghi, di voci.
Qui, come in Max and Mary, è una voce fuori campo che ci accompagna, ci abbandona, ci ritrova.
E ci lascia, con un pizzico di speranza, che è la speranza di Bill, che tutto possa andare bene, che quella splendida giornata non possa mai finire, che film così semplici, e così speciali, possano trovarci ancora, pronti ad ammirarli.
Proprio come fa Bill.
E quindi, sii come Bill.