Senza conoscere la storia dei Paradise Lost, verrebbe davvero difficile credere che, sotto il moniker Host, si celano Nick Holmes e Gregor Mackintosh, menti pensanti della band death doom metal britannica. Chi invece ha seguito il gruppo durante tutti gli anni di onorata carriera sa esattamente che un disco come IX è molto più che plausibile. La storia, infatti, parla chiaro. Nel 1997, dopo il successo di Draconian Times (1995), i Paradise Lost decisero di fare un balzo stilistico totalmente inaspettato. Con l'uscita di One Second (1997), infatti, abbandonarono bruscamente l'ibrido metal/doom sferragliante di cui erano pionieri, e virarono decisamente verso il rock elettronico, in un periodo in cui l’utilizzo dell’elettronica non era propriamente ben voluto dai fan del metal (nel decennio successivo gli inserti elettronici iniziarono a diventare una costante anche nel metal). Nonostante le proteste della propria fan base, imperterrita, la band ha calcato ulteriormente la mano su quel suonoa, dando alle stampe, nel 1999, Host (da cui il nome di questo progetto parallelo), un disco che rinnegava completamente le origini metal dei Paradise Lost, trasformandoli in qualcosa di molto vicino ai Depeche Mode.
Questa svolta, osteggiata da molti, col passare del tempo è stata rivalutata sia dal pubblico che dalla critica, ma nel frattempo il gruppo è tornato ad abbracciare le proprie radici metal. Almeno fino a oggi e a questo IX, che pur non inserito nella discografia della casa madre, vede i due membri fondatori tornare a quella controversa formula.
Nonostante in modo un po’ sibillino, Holmes e Mackintosh, al momento dell’uscita del disco, abbiano voluto prendere le distanze dall’album del 1999, è quasi inevitabile che l’ascolto di IX ci porti direttamente lì, nonostante alcune differenze. Negli anni trascorsi dall'uscita di Host, infatti, l'abilità di scrivere canzoni sia di Nick Holmes che di Greg Mackintosh è migliorata notevolmente, così come la tecnologia e la loro capacità di farne buon uso. Se è vero che ventiquattro anni fa l’intento di omaggiare i Depeche Mode era più che evidente, oggi, la band di Dave Gahan rappresenta senza ombra di dubbio la matrice di queste canzoni, ma IX è molto di più: una perfetta miscela di goth pop elettronico anni '80 e industrial, incupita da quella tristezza crepuscolare che da sempre rappresenta l’habitus emotivo dei lavori targati Paradise Lost.
Certo, ad ascoltare un singolo come "Tomorrow's Sky", un electro pop su ritmiche dance, si viene un po’ sviati da quello che è invece il corpus di un album che è cupo, malinconico, intimista e decadente, che evoca i Depeche, e perché no, anche i Cure, e che richiama sonorità anni ’80, avvolgendole fra strati di sintetizzatori, archi e pianoforti, il tutto declinato attraverso una sensibilità che non riesce a prescindere dal radicato amore per il doom. In tal senso, IX pur rappresentando una deviazione dal percorso principale, non rappresenta uno strappo netto, ma raccoglie in sé molti elementi già presenti in passato: le sfumature gotiche e le influenze doom latenti di "Draconian Times", gli elementi pop elettronici di "One Second" e "Host" e certe ibridazioni presenti in "Symbol of Life", sono qui tutte presenti.
"Wretched Soul" apre l'album determinato a dimostrare che IX non è semplicemente Host parte due, le atmosfere richiamano un cupo doom che si muove a un ritmo letargico mentre crea un'atmosfera malinconica con strati di synth, chitarre acustiche ed elettriche, e un’inquietante performance vocale di Nick Holmes. Se canzoni come la citata "Tomorrow's Sky", "Divine Emotion" e "Inquisition" si muovono per territori electro pop pungolati di malinconia e richiamano alla mente inevitabilmente i Depeche Mode, altrove, il legame con il metal non si è completamente sfilacciato ("Instinct") e il duo dimostra abilità nell’equilibrare rock e inserti elettronici ("Hiding From Tomorrow").
Il risultato è un suono riccamente stratificato all'interno di un'ampia gamma di dinamiche e stili, e ciò rende IX un disco perfettamente riuscito, una sorta di rivincita nei confronti dei tanti detrattori del passato. L’incursione dei Paradise Lost nella musica elettronica, nonostante fecero del loro meglio con la tecnologia e la scarsa esperienza a disposizione, a prescindere dalla bontà dei risultati, fu un mezzo fallimento, e anche se Holmes e Mackintosh avessero pubblicato il miglior album di elettronica degli anni ’90, la maggior parte dei fan, come effettivamente è stato, li avrebbe rinnegati. Oggi, gli ascoltatori sono più aperti all’esplorazione artistica anche da parte di band con un suono consolidato nel tempo, e come già detto la tecnologia è decisamente migliorata. Questa era, dunque, l'occasione perfetta per rivisitare una passione che i due erano stati costretti ad abbandonare decenni fa, una sfida a dimostrare che quando ci sono idee e ispirazione, tentare un azzardo, può produrre ottimi risultati. Se ne facciano, quindi, una ragione i metallari più ortodossi: IX è un ottimo disco, che speriamo, in futuro, abbia anche un seguito.