Ad Hannibal, una cittadina lungo il fiume Mississippi, lo schiavo Jim scopre che a breve verrà venduto a un uomo di New Orleans, finendo per essere separato per sempre dalla moglie e dalla figlia. Decide, quindi, di scappare e nascondersi nella vicina Jackson Island per guadagnare tempo e ideare un piano che gli permetta di salvare la sua famiglia. Nel frattempo, Huckleberry Finn ha simulato la propria morte per sfuggire al padre violento recentemente tornato in città, e anche lui si rifugia nella stessa isola. Come tutti i lettori delle Avventure di Huckleberry Finn sanno, inizia così il pericoloso viaggio – in zattera, lungo il fiume Mississippi – di questi due indimenticabili personaggi della letteratura americana verso l’inafferrabile, e troppo spesso inaffidabile, promessa di un paese libero. Percival Everett parte dal capolavoro di Mark Twain per raccontare la storia da un punto di vista diverso, quello di James, ma per tutti Jim, mostrando tutta l’intelligenza, l’amore, la dedizione, il coraggio e l’umanità di quello che diventa, finalmente, il vero protagonista del romanzo. Un uomo disposto a tutto pur di sopravvivere e salvare la propria famiglia, un uomo che da Jim – il nomignolo usato in senso spregiativo dai bianchi per indicare un nero qualsiasi, indegno anche di avere un nome proprio – sceglie di diventare James, e sceglie la libertà, a ogni costo.
Per affrontare, comprendere e rielaborare un monumento della lettura americana come Mark Twain bisogna essere degli autentici fuoriclasse, e Percival Everett, scrittore e professore di letteratura inglese alla University Of Southern California, noto per capolavori come Cancellazione (2007) e Telefono (2021), senza ombra di dubbio, lo è. L’impresa era di quelle da far tremare le gambe: riprendere Le avventure di Huckleberry Finn, uno dei capisaldi della letteratura statunitense, e riscriverlo dal punto di vista dello schiavo fuggiasco Jim, deuteragonista nel romanzo di Twain, e personaggio che il grande scrittore americano utilizzava come grimaldello per scardinare la coscienza di Huck e aprirlo a una nuova consapevolezza etica e anti razzista.
In James, nome che lo schiavo sceglie in contrapposizione a Jim (uno dei nomignoli che gli schiavisti davano alle persone di colore), la narrazione resta per buona parte fedele all’originale, ma viene integrata da tutto ciò che nel romanzo di Twain non si conosce, quando Jim esce di scena.
L’architettura è quindi quella del romanzo nel romanzo, del nuovo inserito in un nobile e antico canovaccio, con l’intento di ribaltare la prospettiva, e dare dignità a un personaggio, che, per quanto importante, nel romanzo di origine aveva una sola funzione specifica; redimere Huck.
Lo scopo in James è, dunque, duplice: omaggiare un grande romanzo, dandogli nuova energia, ed innestare nella trama profonde riflessioni, che fotografano l’allora per raccontare il presente, in modo da essere maggiormente comprensibile agli occhi moderni.
La premessa è d’obbligo: non è necessario aver letto Le avventure di Huckleberry Finn, per immergersi nelle pagine di James, anche se coloro che, magari durante l’adolescenza, hanno affrontato il capolavoro di Twain, si troveranno a vivere la piacevole sensazione di un deja vu perfettamente riuscito.
La trama è la medesima, alcuni luoghi (l’isola di Jackson) e alcuni personaggi ricorrono (Il re e Il Duca), e la narrazione mantiene intatte le sue peculiarità: James è un romanzo picaresco di avventura e di formazione.
La prosa è semplice, il ritmo è alto, il colpi di scena non mancano, il romanzo si legge agevolmente e alla velocità della luce. Attenzione, però: la scrittura di Everett, così essenziale, così asciutta e lineare, nasconde significati, che vanno al di là dei semplici intenti anti razzisti.
Questa componente, ovviamente non manca: gli schiavi vengono trattati come bestie, gli schiavisti, anche quelli considerati “buoni”, sono fatti tutti della stessa ignobile pasta, e anche coloro che si professano anti schiavisti, alla fine dei conti vengono smascherati nella loro ipocrisia di facciata.
Everett, però, va oltre, creando un parallelismo fra lo schiavismo vero e quello odierno, in cui la libertà è spesso una parola senza più senso, e lo sfruttamento del lavoro, da qualunque punto di vista lo si guardi, impera con una ferocia non diseguale da quello raccontato da Twain.
“Signore, io cerco solo di capire. Lei dice sta facendo una distinzione fra schiavitù di proprietà e schiavitù di contratto?” chiede James al musicista apparentemente liberal, che lo compra per duecento dollari, da restituire, però, dopo duecento spettacoli retribuiti un dollaro l’uno.
James è intelligente, sa leggere e sa scrivere, ma si fa passare per stupido e analfabeta, e parla il dialetto degli schiavi, perché il suo linguaggio forbito genera vero e proprio terrore nei suoi aguzzini e padroni. E’ questo il tema centrale dell’opera di Everett: riflettere sulla funzione della scrittura e della lettura non solo come abbrivio per poter accedere alla vera libertà (che è quella del pensiero autonomo, impossibile da contenere con catene e pastoie) ma anche come strumento identitario: se sai scrivere e leggere, non sei più Jim, un nessuno, un numero o una bestia, ma diventi James, mente pensate che sa riflettere, decidere, scegliere, diventando immediatamente pericolosa e sovversiva.
“In quel momento il potere della lettura mi apparve chiaro, reale. Quando vedevo le parole, nessuno era in grado di controllarle, né di controllare ciò che ne ricavavo. Non poteva neppure sapere se le stavo solo vedendo o leggendo, se le stavo compitando o comprendendo. Era una faccenda privata e e totalmente libera, e di conseguenza totalmente sovversiva”.
Ecco il senso più alto del romanzo: con James, Everett ci porta in un viaggio emozionane attraverso la storia e la letteratura americana, per ricordarci, e ce n’è un gran bisogno, che oggi siamo tutti schiavi, a prescindere dal colore della pelle, ma che, come allora, abbiamo un grande potere per combattere le forze che ci voglio pecore ammansite di un gregge alla mercé del potere e del profitto: leggere e scrivere per scardinare la logica imperante della globalizzazione e della paura.