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REVIEWSLE RECENSIONI
04/06/2022
Bonnie Raitt
Just Like That...
Fedele a se stessa, Bonnie Raitt torna con un riuscito, l'ennesimo, disco di rock blues classicissimo, adombrato, in parte, dallo spettro della pandemia.

Just Like That è il diciottesimo album in studio della venerata cantautrice e chitarrista americana, Bonnie Raitt, e arriva a sei anni dalla sua ultima fatica, il convincente Dig In Deep. Un nuovo lavoro che, come molti usciti in questo periodo storico, è inevitabilmente figlio della pandemia e di una società che, per ovvi motivi, ha cambiato profondamente i lineamenti del proprio volto.

Anche la Raitt ha subito forti ripercussioni a seguito del Covid, perdendo amici e mentori, affetti e persone a cui non ha potuto dire addio. Non è un caso, allora, che la malattia getti ombra sulla maggior parte delle canzoni di Just Like That, anche su quei brani che parlano d’altro, magari d’amore. A volte, la maledetta pandemia occupa ogni spazio con la sua inquietante presenza, in altri casi, invece, è un tragico spunto che aiuta semplicemente ad approfondire la comprensione di quanto l’esistenza umana sia incerta e caduca. "Non credo che torneremo quelli di una volta", canta Raitt in "Livin' for the Ones", uno dei quattro brani originali di questo album, "Inutile cercare di misurare la perdita." Tra queste perdite immense, c’è John Prine, l’amico pianto a lungo prima di iniziare le registrazioni dell’album, e Toots Hibbert, il frontman dei Toots And The Maytals, omaggiato, qui, con una versione della sua "Love So Strong".

Just Like That, tuttavia, non è un disco monotematico, perché la Raitt sposta l’attenzione anche su temi più convenzionali, come storie d’amore che hanno collassato ("Made Up Mind", scritta dai fratelli Landreth, David e Joseph Sydney), amori ritrovati (“Something Got A Hold Of My Heart”) e amori che se ne vanno per sempre, lasciando addosso sensi di colpa (“Blame It On Me”). Così come, nella title track, in cui Bonnie apre il cuore alla speranza e al senso di fratellanza, raccontando la storia di una madre afflitta, che ha perso il proprio figlio, e che trova conforto alla perdita, abbracciando l’uomo che ha ricevuto il suo cuore ed è sopravvissuto grazie al trapianto.

Tuttavia, è inevitabile che il dramma della pandemia circoli per tutta la durata del disco, che l’immobilismo di quei giorni torni in versi che ricordano come il tempo “è versato come sabbia attraverso le mie mani e le tue”, e che quei momenti traumatici e la sofferenza che ne è derivata, facciano emergere il dolore di addii non dati, come un peso quasi insostenibile ("When We Say Goodnight"). Eppure questo disco non cede mai completamente nell'oscurità, queste sono, semmai, storie di accettazione, storie di resistenza, in cui il dolore non soverchia mai completamente la speranza. C’è il ricordo, per quanto mesto, di chi non c’è più (“Sto vivendo per quelli che non ce l'hanno fatta, abbattuti senza alcuna colpa”, canta la Raitt sul tiro stonesiano delle chitarre di “Livin’ For The Ones”) ma c’è anche lo sprone a chi è rimasto, l’invito a non piangersi addosso e a continuare a vivere, con coraggio (“Se mai inizi a lamentarti, ricorda solo quelli che non sentiranno mai più il sole sui loro volti.")

Just Like That è un classicissimo disco di rock blues, quello che ti aspetti da un’artista come Bonnie Raitt, da sempre fedele alla propria visione e indifferente alle mode. Alla songwriter di Burbank, sulle scene ormai da mezzo secolo, si può, quindi, rimproverare, forse, la mancanza di originalità, anche se molti la leggerebbero la cosa come coerenza artistica. Di sicuro, pur in un canovaccio assolutamente prevedibile, la Raitt possiede una straordinaria eleganza formale (quell’essere così incredibilmente diretta nonostante un approccio classicissimo) e, quel che più conta, un’ardente passione, che continua a farcela amare, nonostante di lei, sappiamo ormai tutto quello che c’è da sapere.