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REVIEWSLE RECENSIONI
10/01/2024
Yann Tiersen
Kerber (solo piano)
Come il mitico Uroboro, Yann Tiersen conclude il ciclo del percorso del suo ultimo album, “Kerber”, riproponendolo in versione piano solo. L’essenzialità del suono dello strumento a tastiera si sposa con la poetica del musicista bretone per affidarci la versione più essenziale e, forse, la più bella dell’intero progetto Kerber.

Il percorso musicale di Yann Tiersen è talmente noto che è quasi un esercizio di stile (a cui tuttavia ci sottoponiamo volentieri) ripercorrerne brevemente le tappe salienti. Basterà dire che il musicista bretone, pur avendo iniziato a produrre dischi sin dal 1995, è salito agli onori della cronaca con la realizzazione della colonna sonora sia de Il fantastico mondo di Amelie nel 2001, sia di Good Bye Lenin nel 2003, per poi proseguire il suo percorso su due piani differenti e talvolta tra loro intersecanti: il mondo dell’elettronica e quello della strumentazione classica. Kerber in particolare, il suo ultimo lavoro, rappresenta il perfetto mix di questi due anime, elettronica e neoclassica.

Nel caso di questo progetto, che prende le mosse dal 2021 (è da poco uscito un box contenente 4 cd, come meglio di seguito descritto) la poetica del francese risulta influenzata dalla scelta di andare a vivere sulla piccola isola di Ushant, in Bretagna. L’album, infatti è stato registrato all'Eskal, lo studio che ha costruito in loco e che prende il nome da una cappella in un piccolo villaggio ivi presente.

 

Come il mitico Uroboro, il serpente/drago che si morde la coda creando un cerchio un cerchio chiuso ed al contempo infinito, immagine simbolica presente in molte culture, che rappresenta la natura ciclica delle stagioni del mondo, dell’energia che si consuma e si rinnova di continuo, Yann Tiersen con il progetto Kerber decide di svelare “a ritroso” i meccanismi compositivi che lo hanno portato alla realizzazione dell’album.

Dopo aver inizialmente pubblicato l’opera nella dimensione classica/elettronica nel 2021, nel corso dell’anno successivo ne ha pubblicato una versione remix, nonché l’album 11 5 18 2 5 18, frutto della manipolazione da parte dello stesso Tiersen del materiale originario, in occasione dell’invito a partecipare al festival elettronico berlinese Superbooth. Ora, nel 2023, con la versione solo piano, ripresenta le tracce musicali nella versione intima e solitaria del piano solo.

Risulta molto interessante la scelta di percorrere a ritroso la genesi artistica del disco in oggetto. Dove di solito il musicista, partendo dallo strumento prediletto, mediante un processo di aggiunta, arricchisce il pezzo con altri strumenti acustici o a mezzo dell’elettronica, qui Tiersen, nel concludere il percorso dell’album, opera al contrario, decidendo di procedere non per addizione ma per sottrazione, riproponendo i brani dell’album nella versione “intima” del solo pianoforte.

 

Per gusto personale, sicuramente influenzato dal mood per il quale, ultimamente, tendo ad apprezzare il ritorno all’essenzialità, l’ultimo disco del progetto è quello che mi affascina maggiormente. Impossibile infatti non rimanere affascinati da “Ar Maner Kohz”, dove, con una tecnica compositiva che ricorda e trova il proprio apice nel celebre ed universalmente noto preludio di uno dei massini interpreti del piano qual è Chopin, ovvero l’opera 28, n. 15, il cosiddetto preludio de “la goccia” (chiunque non lo abbia sentito almeno una volta nella vita, qualunque genere musicale ami, vi assicuro che si perde qualcosa), il bretone trova uno dei vertici della sua poetica.

La stessa dinamica viene riproposta nel seguente “Kerdrall” dove le nuances timbriche di Tiersen ci immergono in uno spazio quieto che si anima improvvisamente nella parte centrale per poi ritornare al climax iniziale, secondo i classici stilemi della forma sonata propri del mondo classico. Anche in “Ker Yegu” le atmosfere rimandano ad un mondo interiore ricco di iridescenze timbriche con un pathos di solitaria contemplazione, ideale colonna sonora per passeggiate in giardini autunnali ricchi di gocce di rugiada.

Potremmo così andare avanti, passando dal tema più increspato di “Ker al Loch”, attraversando poi “Kerber”, una vera e propria mini sonata della durata di quasi dieci minuti, per concludere con “Poull Bojer”.

 

Nel frastuono quotidiano dove non si riesce più a ricercare il silenzio, anzi al contrario ci si riempie di parole e suoni per evitare la necessaria introspezione, opere come questa, o come quella di Capanni (qui la recensione) ci permettono di ri-centrare la nostra attenzione su quella che, da un lato, è la cosa a noi più preziosa, dall’altro lato quella più negletta, ovvero la dimensione incontenibile dell’esigenza di bellezza che alberga nel nostro cuore.