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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
03/10/2025
Radiohead
Kid A attraverso l'arte
A 25 anni dalla sua pubblicazione, cogliamo l'occasione per parlare ancora una volta di Kid A dei Radiohead. In questo caso, l'esperienza sarà un po' particolare: ogni brano sarà accompagnato da un’opera d'arte che, dal punto di vista di chi scrive, trasmette lo stesso mood, in un viaggio pensato per appagare udito e vista.

"Verso la fine del 1998 ogni volta che prendevo la chitarra entravo in panico. Cominciavo a comporre un brano, mi fermavo dopo 16 battute, la nascondevo in una canzone, la fissavo un'altra volta, la facevo a pezzi, la distruggevo".

Questa affermazione di Thom Yorke potrebbe riassumere il processo creativo dietro alla realizzazione di uno degli album più importanti, influenti e difficili della musica rock contemporanea: stiamo parlando di Kid A, quarto lavoro dei Radiohead, uscito il 2 ottobre del 2000.

A fine anni ‘90, la strada dei Radiohead si era tramutata in una yellow brick road proiettata verso un futuro di sicuro successo grazie alla formula collaudata di Ok Computer, disco che nel 1998 li aveva portati ad essere enormemente apprezzati da critica e pubblico con brani ormai iconici come “Airbag”, “Let Down” e “Paranoid Android”, responsabili di aver dato una scossa elettrica ai neuroni di un'intera generazione ormai un po' impigrita dai soliti quattro accordi da falò di Oasis e relativi epigoni.

 

Ma il buon Thom è un ragazzo difficile da accontentare, e invece di andare fiero degli elogi ottenuti cade in depressione: sente che ogni nota da loro prodotta fino a quel momento stava diventando "un sottofondo, come il ronzio di un frigorifero", e non riesce più a trovare la giusta ispirazione, subendo un vero e proprio blocco dello scrittore. Quando, a gennaio del 1999, i cinque musicisti si trovano a Parigi insieme al produttore Nigel Godrich per iniziare a lavorare al seguito di Ok Computer, le uniche cose composte da Yorke sono dei beat di drum machine, completamente privi di armonia e linea melodica, per non parlare dei testi.

Ma, citando il buon Perozzi di Amici Miei, "che cos' è il genio? È fantasia, intuizione, colpo d' occhio e velocità di esecuzione", e, lasciandosi ispirare dal Jazz, dal Krautrock, dalla musica Classica contemporanea e dalla musica Elettronica d’avanguardia, iniziano a sperimentare con strumenti poco convenzionali per il Rock: theremin, campionatori, synth e onde Martenot iniziano a sostituire gli strumenti a corda, e le registrazioni ottenute vengono montate e manipolate grazie a software di editing musicale come Pro Tools. La band inglese riesce così nel miracolo di donare al mondo un disco di struggente bellezza, nato dalla difficoltà e dal coraggio di reinventarsi completamente, proprio nel momento di più grande successo dopo anni di gavetta.

 

Per celebrare i 25 anni di Kid A, vi propongo un viaggio pensato per appagare udito e vista. Ogni brano è accompagnato da un’opera d'arte che nella mia prospettiva trasmette lo stesso mood, analizzando i parallelismi tra musica e immagine. Quindi mettetevi sulla vostra poltrona preferita, armatevi di cuffie, e cominciamo.

 

“Everything In Its Right Place”

L’overture dell’album è affidata all'atmosfera dissonante di “Everything In Its Right Place”, brano caratterizzato dall’intro di pianoforte di Yorke e dai suoni bizzarri ottenuti dalla manipolazione degli strumenti e della voce con Pro Tools.

Perfetta sintesi musicale dei Radiohead 2.0, “Everything In Its Right Place” è il dipinto “Sbattiuova N. 4” di Stuart Davis, una composizione astratta in cui blocchi di colore piatto e forme geometriche fanno sì che l'occhio dell'osservatore sia spinto a girare ossessivamente intorno alla tela per ritornare istintivamente allo sbattiuova ivi rappresentato, così come la ripetitività del ritmo e del testo, diviso in tre strofe dal contenuto misterioso e simbolico, porta l’orecchio a trovare pace nelle aperture melodiche dei ritornelli.

 

“Kid A”

“Kid A” è un brano inquieto e dal feeling oscuro, fortemente influenzato dalla musica Ambient, parto intellettuale del chitarrista, arrangiatore e polistrumentista Jonny Greenwood. La voce di Yorke, filtrata tramite l’onde Martenot, è in gran parte responsabile del senso di disagio che pervade la traccia.

Allo stesso modo, i colori accesi, ma allo stesso tempo piatti e privi di vita di “Identity” di Jean-Michel Basquiat restituiscono lo stesso senso di solitudine e ineluttabilità, convogliati dal pennello nelle forme spigolose e nell’espressione vuota del soggetto ritratto.

 

“The National Anthem”

Un giro di basso e batteria ossessivo apre “The National Anthem”, brano in cui  l’influenza del Jazz di Charles Mingus fa da catalizzatore in fase di composizione: la parte centrale è infatti caratterizzata da un vero e proprio ingorgo di ottoni che sfidano i neuroni di chi ascolta a non andare in sovraccarico.

Rischia di andare in burnout neuronale anche chi si trova ad osservare “Jazz Band” del pittore Jean Dubuffet, il quale ricrea lo stesso senso di confusione grazie ai bianchi e neri netti applicati alle forme primitive del gruppo di musicisti ritratti e all’ inusuale tecnica pittorica fatta di macchie, sporcature, incisioni e passaggi di gomma.

 

“How To Disappear Completely”

Forse il capolavoro dell’ album, “How To Disappear Completely” è una ballad malinconica nella quale una chitarra acustica, a cui si sovrappongono gli archi arrangiati da Jonny Greenwood e il suono fluido dell’onde Martenot, ci guida nel viaggio dell’autore Thom Yorke, il quale si immagina come un fantasma che vola sopra una città per poi sparire completamente.

Un’immagine che porta alla mente l’atmosfera onirica di “Sopra la città”, del pittore russo Marc Chagall, in cui due amanti si librano nel cielo sopra ad edifici bizzarri dipinti a blocchi di colori piatti ma vividi, quasi come se la scena venisse filtrata dagli occhi di un bambino dall’ immaginazione sorprendentemente fervida. Un’opera al tempo stesso  sofisticata e infantile, che mescola sogno e realtà al pari di quanto fa il quintetto inglese con la parte musicale.

 

“Treefingers”

Creato da Thom Yorke campionando e poi rimontando alcuni loop eseguiti dal chitarrista Ed O’Brien, “Treefingers” è invece uno strumentale dal sound liquido, pensato per fare da “spartiacque” tra “How To Disappear Completely” e la successiva “Optimistic”.

Il brano restituisce la stessa malinconia del dipinto “Donna seduta con ginocchio piegato” dell’artista espressionista Egon Schiele, in cui i colori tenui dell’acquerello contrastano con i contorni decisi tratteggiati dalla matita nera e lo sguardo accusatorio, fisso negli occhi di chi guarda, della donna ritratta.

 

“Optimistic”

Scarto delle sessions di Ok Computer, “Optimistic” è forse il brano di stampo più Rock dell’intero album, unico in cui si fa sentire a livello di sound l’eredità delle precedenti incisioni a firma Radiohead. Trascinato da chitarre cristalline e da una linea di basso accattivante, è un chiaro omaggio alla musica dei R.E.M. di Automatic For The People.

L’opera di Keith Haring “Untitled (Dance)” ricorda “Optimistic” nella sua ambivalenza, in quanto in entrambi i casi il mood è apparentemente allegro (melodie orecchiabili e strumming della chitarra trascinante da una parte, figure danzanti a colori vivaci dipinte in stile solo superficialmente naive dall’altra), mentre a un occhio (orecchio?) più smaliziato appare evidente quanto la disumanizzazione degli omini disegnati da Haring faccia il paio con la feroce critica sociale racchiusa nel testo del brano.

 

“In Limbo”

Gli arpeggi delicati delle chitarre, le melodie sghembe cantate da voci armonizzate e poi sdoppiate e gli effetti in reverse donano invece a “In Limbo” un’atmosfera stralunata, che ben si adatta al dipinto di Salvador Dalì “Il Sonno”: un’enorme testa umana - ritratta nello stile iperrealista proprio del pittore spagnolo - è mantenuta dormiente dall’equilibrio instabile delle stampelle che la sostengono, simbolo dell'estrema fragilità della fase onirica, perennemente a rischio di frantumarsi al minimo cambio di paradigma.

Un desertico paesaggio surreale fa da sfondo alla scena, dipinto in modo da ricordare i contorni poco netti e i colori tenui che rimangono impressi nelle retine al risveglio.

 

“Idioteque”

Caratterizzata da un ripetuto beat di drum machine e dal sample di quattro accordi tratto dal brano sperimentale “Mild und Leise” di Paul Lansky, “Idioteque” è una canzone dall’atmosfera oppressiva, in grado di far sentire il cuore e il cervello dell’ascoltatore chiusi in una morsa di desolante inquietudine. Il testo è uno dei più criptici dell’ intera produzione dei Radiohead, in parte creato con la tecnica cara ai poeti surrealisti del cut-up, per cui una serie di parole viene scritta su dei bigliettini che poi vengono estratti da un cappello, una sorta di lotteria dell’ispirazione.

È la perfetta colonna sonora per la “Donna Piangente” di Pablo Picasso, in cui la disperazione della figura è incisa sul suo volto da colori acidi e linee rigide e violente, mentre gli occhi e la fronte della donna vengono dislocati e letteralmente spezzati in due dal dolore.

 

“Morning Bell”

La nona traccia di “Kid A” è la spettrale “Morning Bell”: non a caso Thom Yorke dichiarò che il testo del brano si riferisse a un fantasma che, a suo dire, infestava il suo appartamento, anche se interpretazioni successive lo hanno avvicinato al tema del divorzio ("Cut the kid in half"). La batteria di Phil Selway tiene insieme i pezzi con un groove elementare, drittissimo, quasi robotico, fino all'apertura melodica in cui la voce del cantante urla "Run around, around, around around!". Un piccolo spiraglio di luce in un'atmosfera altrimenti desolante.

Desolante risulta essere anche il mood del dipinto “La linea di sabbia” di Edward Wadsworth, dove, su un paesaggio marino disegnato con precisione e perizia tecnica, si stagliano inspiegabili oggetti geometrici, stilisticamente vicini al lavoro di Giorgio De Chirico e a quello dei pittori surrealisti, che lasciano negli occhi dello spettatore una sensazione di angoscia esistenziale.

 

“Motion Picture Soundtrack”

Gli accordi dell’harmonium donano all’introduzione di “Motion Picture Soundtrack”, traccia conclusiva dell’album, un'atmosfera religiosa, ecclesiastica; sebbene i Radiohead non abbiano mai ufficialmente svelato il contenuto del misterioso testo, è largamente accettato dai più esperti conoscitori della band che il tema sia quello del suicidio, fatto questo confermato dal crescendo gioioso, della durata di pochi secondi, che appare improvvisamente nelle casse dello stereo dopo un paio di minuti dalla fine del brano, come se fosse l'anima che ascende verso l'infinito dopo la morte.

Anche la dama ritratta dall'artista preraffaelita John William Waterhouse in “La signora di Shalott” è destinata a una fine crudele, condannata a morire per aver colto in uno specchio il riflesso di Lancillotto e della magica Camelot. La bellezza eterea della protagonista del dipinto, ritratta con tecnica superba dall'autore, ben si sposa con la sacralità della musica del brano dei Radiohead e con i temi mistici, quasi di accettazione del proprio fato, che accomunano le due opere.

 

Il fruscio della puntina sul solco di chiusura interrompe l'incantesimo; il braccetto si alza per tornare nella sua posizione di riposo, il piatto smette di girare, e nella stanza permane solo l'alone magico e malinconico allo stesso tempo che la musica di Kid A lascia dietro di sé, come la scia di profumo di una donna bellissima ma dallo sguardo triste.

In venticinque anni sono cambiate un bel po’ di cose nel nostro mondo tormentato, ma Kid A continua a essere un monumento, moderno come se fosse stato registrato domani, fonte di ispirazione costante per un esercito di aspiranti discepoli della band inglese, capolavoro inarrivabile nato in un momento particolare che non tornerà mai più. E soprattutto, è un album che riesce a portare “da un'altra parte” l'ascoltatore ogni volta che la sua musica esce dall'impianto, esattamente se come fosse la prima volta.