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REVIEWSLE RECENSIONI
14/04/2020
The Grahams
Kids Like Us
Al terzo disco in studio, i coniugi Grahams si misurano con il pop anni '60, azzeccando un disco piacevolmente vintage, leggero, divertito e brioso

Un disco per scrollarsi di dosso le etichette, per spiazzare il pubblico, per provare a uscire dalle consuetudini e tentare di raccontare qualcos’altro, con gioia, leggerezza e rinnovata convinzione. E’ questo il prius logico che sta alla base di Kids Like Us, terzo disco in studio dei The Grahams, al secolo Alyssa e Doug Graham, coppia di coniugi e musicisti newyorkesi, oggi di stanza a Nashville.

Un disco progettato e composto durante un viaggio in motocicletta attraverso l’America, macinando chilometri sulla Route 66, che tanto ha affascinato e ispirato la storia della musica a stelle e strisce. Pensato insieme al noto produttore Richard Swift (Foxygen, Shins, Nathaniel Rateliff, Lucius, etc.), poi morto prematuramente a luglio del 2018, Kids Like Us è un’appassionata lettera d’amore a quegli album pop senza tempo con cui i coniugi sono cresciuti. Un omaggio divertito ai leggendari anni ’60 e ad artisti come Brian Wilson, Nancy Sinatra, Dusty Springfield, The Ronettes e Diana Ross & The Supremes, che in quel decennio erano i “padroni” indiscussi delle onde radio.

Il risultato è un disco piacevolissimo, leggero e brioso, in cui pop e soul vanno a braccetto, in un equilibrio perfetto fra musica bianca e musica nera, fra sonorità vintage e intuizione moderne. Un songwriting limpido, che tratteggia melodie accattivanti, e quegli arrangiamenti ricchi e piacevolmente zuccherini, che restituiscono fin dal primo ascolto l’approccio un po' ingenuo e spensierato, tipico di quegli anni d’oro, sono il canone estetico che informa le dodici canzoni che compongono la scaletta.

Un lotto di brani incredibilmente coeso, in cui si alternano ballate mozzafiato (One More Heartbreak), lentoni da ballare guancia a guancia (Love Letter), uptempo sbarazzini (Bite My Tongue), armonie evocative e dolcemente malinconiche (la superba Painted Desert) e varchi spazio temporali clamorosamente veraci (Running Out Of Time non si limita a evocare gli anni ’60, ma letteralmente teletrasporta l’ascoltatore in quel decennio).

Sono solo due le canzoni che spostano leggermente il baricentro della narrazione: l’iniziale title track, punto di fusione tra beat r’n’b, tensione indie rock e graffiante elettricità (le sferraglianti chitarre nel finale del brano) e la splendida Just What You Deserve che, con tutte le differenze del caso, gira dalle parti dello Springsteen più pop, quello di My Love Will Not Let You Down, per intenderci.

Usciti dalla loro comfort zone (una miscela di folk, rock e pop di matrice fortemente americana), nella quale peraltro già scrivevano bellissime canzoni, i coniugi Graham hanno aggiunto un capitolo importante al loro aggraziato songbook, rischiando qualcosa (pasticciare con la retromania è sempre rischioso) ma centrando con inaspettata precisione il bersaglio grosso.


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