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REVIEWSLE RECENSIONI
11/11/2019
Stereophonics
Kind
I quaranta minuti di Kind (più di un’ora nell’edizione deluxe, arricchita di demo) vanno via lisci, senza sussulti, ma anche senza sbadigli

Non è facile stare sulla breccia per oltre venticinque e mantenere per tutto questo tempo una decorosa caratura artistica. In fin dei conti, però, Kelly Jones e la sua creatura, pur non essendo destinati a gloriose pagine sui libri di letteratura rock, sono riusciti a resistere alle mode, a volte anche adattandosi, e a creare un suono e uno stile facilmente riconoscibili. Gli Stereophonics, infatti, sono la classica band a cui non si riesce ad ascrivere alcun capolavoro, quel disco, fosse anche solo uno, destinato, cioè, a farsi ricordare nei secoli dei secoli; è pur vero, tuttavia, che hanno mantenuto in buona salute il loro pop-rock di facile presa, sfornando talvolta album di buon livello e molte hit spacca classifiche.

Dopo il riuscito Scream Above The Sounds (2017) e un periodo che lo stesso Jones definisce come caratterizzato da afasia compositiva, il gruppo scozzese sforna l’undicesimo album in studio, registrato in una decina di giorni presso la distilleria The Ramsbury nel Wiltshire e prodotto da una vecchia volpe come George Drakulias, già al servizio di Black Crowes e Tom Petty.

Se il marchio Stereophonics è immediatamente riconoscibile fin dalle prime battute dell’album, bisogna dire che questo Kind segna, però, un leggero cambio di rotta rispetto al lavoro precedente: è un disco decisamente meno pop, segnato prevalentemente da ballate che guardano più gli States che la terra d’Albione, e che offrono un songwriting decisamente più intimo e raccolto. Jones, si sa, possiede una voce ruvida e calda che fa da perfetto contraltare anche ai momenti più melodici, e soprattutto in questi brani, a volte decisamente carezzevoli, il contrasto produce l’effetto sperato.

Apre il disco I Just Wanted The Goods, brano decisamente anomalo rispetto alla restante scaletta: chitarra slide, groove funky, esuberanza rock e un ritornello che non lascia scampo. Una canzone con un tiro notevolissimo, che però non trova conferme ulteriori. La successiva Fly Like An Eagle, infatti, è un’intensa ballata, molto melodica, e che, per quanto prevedibile, è attraversata da un gran pathos.

Make Friends With The Morning, è un altro brano lento che veste però abiti gospel, Hangover For You e This Life Ain’t Easy (But It’s The One That We All Got) hanno il classico suono Stereophonics, sono un po' risapute ma hanno melodie uncinanti, Street Of Orange Light è la più marcatamente americana del lotto, mentre Don’t Let The Devil Take Another Day guarda al passato rispolverando sonorità brit pop.

In definitiva, Kind tiene il passo del suo predecessore e, pur senza apportare grandi novità alla storia della band, risulta piacevole e si fa apprezzare. Non c’è nulla che stupisca né troverete canzoni immortali, e l’ispirazione di Kelly Jones, anche in questa veste decisamente più languida e schiva, sembra sempre viaggiare con il pilota automatico. I dischi brutti, però, sono altri, e questi quaranta minuti (più di un’ora nell’edizione deluxe, arricchita di demo) vanno via lisci, senza sussulti, ma anche senza sbadigli.


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