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MAKING MOVIESAL CINEMA
La diseducazione di Cameron Post
Desiree Akhavan
2018  (Teodora Film)
DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
11/02/2019
Desiree Akhavan
La diseducazione di Cameron Post
Funziona così: non esiste l'omosessualità, esiste il peccato. Esiste la confusione dovuta a passioni fuorvianti come lo sport, come la troppa o nulla vicinanza ai genitori.

Ti dicono di amare il prossimo, di porgere sempre l'altra guancia, di non giudicare, di accogliere incondizionatamente.
Ti educano così, all'amore.
Ti educano a ricercare l'armonia, il successo, la famiglia.
Ma se l'amore che trovi, che provi, non gli va bene, parte un altro tipo di educazione, che va a minare le fondamenta di te stessa, che va a farti odiare te stessa e tutto quello che amavi.
Funziona così: non esiste l'omosessualità, esiste il peccato. Esiste la confusione dovuta a passioni fuorvianti come lo sport, come la troppa o nulla vicinanza ai genitori.
E allora devi ricominciare da capo, devi venirne a capo, mettere a freno sogni e impulsi, per far contenti loro che si dichiarano cristiani e guaritori.

Cameron Post era gay, adesso sta con loro.
Sta in una comunità in mezzo ai boschi che ha l'aria di una setta in campeggio, dividendo il suo tempo in sedute di gruppo, ricerca di radici di un iceberg invisibile e volantinaggio.
Per fortuna, ha il tempo di passeggiare per le montagne con nuovi amici, che ridimensionano il suo senso di colpa, che come lei combattono contro una famiglia che non li accetta più, con una forza interiore che certe preghiere e giochini psicologici non possono piegare.
La sua colpa è quella di aver amato Coley, di desiderarla ancora, di essere stata colta in flagrante con lei.
Abbandonata a se stessa, cedere sembra tanto difficile quanto facile, gli appigli sono scivolosi, passano anche solo fra le note di una radio.

Vincitore dell'ultimo Sundace, The Miseducation of Cameron Post ha tutti gli ingredienti tipici del piccolo caso indie dell'anno. Un montaggio che si fa veloce e geometrico a scoprire il passato degli altri "pazienti in cura", scene e sogni bollenti a giustificare l'impegno di Chloë Grace Moretz, la bellezza di protagonisti diversi uniti da una strana e bellissima amicizia, la musica come elemento magico.
Che sia quella cristiana (e rock) da cantare come una preghiera, o che sia la sempre eterna What's up? che da Sense8 in poi ha acquistato un senso in più per la comunità LGBT, la colonna sonora si fa portante e arricchisce una sceneggiatura non priva di difetti (forse troppo breve, troppo condensata) ma che contiene frasi da appuntare ("maybe you're supposed to feel disgusted with yourself  when you're a teenager").
Quel che resta in un finale aperto e amato, è che siamo in un'America che non accetta l'amore in ogni sua forma, siamo in un'America bigotta ma ancor più pericolosa perché crede di poter guarire tutto, senza alcuna preparazione, alcuna base. E siamo in un 1993 che sembra allo stesso tempo troppo lontano o ancora troppo vicino per sembrare vero.