Prima un viaggio in treno da Tokyo, fino a una cittadina di mare nella penisola di Boso. Poi una passeggiata lungo la spiaggia, fino a un vialetto di conchiglie. È lì che si trova “Da Chibi”, una delle poche locande dove, secondo alcuni, viene ancora servito il kagezen: il vassoio d’ombra, il pasto tradizionale giapponese che si cucina per chi non c’è. Le voci narrano che, dopo che il piatto viene messo in tavola, accadano cose strane, che sia possibile mettersi in contatto con la persona di cui più si sente la mancanza. Così, scossa dalla morte improvvisa del fratello, in una mattina luminosa la diciannovenne Kotoko Niki varca la soglia del ristorante, sotto lo sguardo attento di un gatto. Il fratello di Kotoko ha perso la vita in un incidente stradale cercando di proteggerla e lei, piena di rimorsi, spera in un miracolo…
Kotoko è distrutta dal dolore, non mangia, non dorme, è attanagliata dai sensi di colpa: in un incidente stradale, ha perso l’amato fratello Yuito, che si è sacrificato, parando il proprio corpo di fronte a un’auto impazzita, salvandole così la vita. Quando, tempo dopo, la ragazza scopre che a un’ora e mezza di treno da Tokio esiste una piccola locanda affacciata sul mare chiamata Da Chibi, decide di partire alla volta del ristorante. Perché lì, dicono, si serve il kagezen, un pasto che si cucina per i defunti, i quali, fino a quando la pietanza è fumante e calda, potrebbero apparire ai propri cari per un ultimo saluto.
Yuta Takahashi, di cui questo è il primo romanzo tradotto in Italia, affronta il tema della morte per celebrare la vita, affonda la penna nel dolore della perdita per vincere le tenebre e aprire il cuore alla luce e alla speranza. Tutto sembra semplice e semplicistico, a partire da una prosa scarna e misuratissima, che non spreca una parola più del necessario, per tenere a distanza il rischio di cadere nella retorica e di sfruttare il pungolo della lacrima per indurre alla facile commozione. Questa scrittura lineare, priva di malizia e disadorna riesce a essere accessibile a chiunque, ma al contempo si veste di una poetica leggiadra e cristallina, che racconta sentimenti profondi tenendosi lontana dal ricatto emotivo, che descrive luoghi ameni e suggestivi cogliendone la pura essenza, che tratteggia in modo vivido personaggi dalle esistenze ordinarie, gente comune con il quale il lettore non farà fatica a identificarsi.
Nonostante il flusso elementare della narrazione, La Locanda Dei Gatti e Dei Ricordi, però, trabocca di spunti di riflessione, alcuni agili da cogliere, altri maggiormente sottesi.
Il romanzo, come dicevamo, parla di morte per cercare di spiegare la complessa bellezza della vita, e pertanto, sprona a inseguire i propri sogni, costi quel che costi, e a non lasciare che il non detto, che l’afasia emotiva, renda irrisolti i rapporti fra esseri umani, li sospenda in un limbo del taciuto a cui, poi, è impossibile rimediare. Takahashi, però, va ancora più a fondo: se vivere è inseguire i propri sogni, ancora più importante è non lasciare che i sogni delle persone a noi care muoiano con loro. Kotoko diviene attrice per onorare il sogno del fratello, Kai tiene aperta la locanda per tenere vivi i desideri della madre: nulla sconfigge la morte come perpetrare, in tutti i modi possibili, ciò che era l’elemento distintivo dei nostri affetti perduti. Onorare i desiderata di chi non c’è più è una forma d’amore altissima, che si nutre di coraggio e che, non solo corrobora il ricordo dei defunti, ma allontana le tenebre dell’oblio, generando uno spirituale abbrivio verso l’eterno.
Che ci siano Proust e la sua iconica madeleine dietro i piatti serviti dalla locanda Da Chibi è del tutto evidente: le pietanze cucinate da Kai innescano lo stesso meccanismo della ricordanza del pasticcino inzuppato nel tè, e il sapore di quei cibi, amati dai nostri defunti e spesso condivisi a tavola, rappresentano l’energia vitale, hic et nunc, con cui il gusto, l’olfatto e il tatto, così carnali, così immediati, rievocano, anche fisicamente, i nostri cari estinti.
Ognuno di noi ha un’assenza nel cuore, un lutto da rielaborare, e in tal senso, La Locanda Dei Gatti e Dei Ricordi è un romanzo dal potere lenitivo, la cui avvolgente dolcezza genera una soave catarsi che riempie il cuore di un’ingenua quanto necessaria speranza. Perché il senso ultimo di questo piccolo ma avvincente libro è che a tutte le persone di buon cuore è fatto dono di una seconda possibilità. Per dare un senso alla propria vita, per rimettere le cose a posto, per provare a essere ancora felici.
PS: cosa cela la misteriosa e simpaticissima figura del gatto Chibi? Al lettore, l’ardua risposta. E’ un traghettatore di anime? E’ la fede? E’ la speranza? E’ Dio? Difficile a dirsi: quando c’è di mezzo un gatto, tutto è possibile.