Il primo giorno di Festival porta con sè post punk e psichedelia elettronica grazie ai trascinanti Yard Act e ai visionari Spiritualized, colpisce con l'apertura di giornata dub e drum&bass dei Tare e lascia senza parole per il gran finale con i Mogwai. Tra buon vino, un bel parco e una line up di qualità, non si può che iniziare al meglio la stagione in Versilia.
Non capita tutti i giorni e non capita tutte le estati. Ma quando succede è per sempre. Come per i diamanti. Nel parco Bussoladomani, dove un tempo sorgeva l'epico tendone degli anni '70, si respirano ancora le Good Vibrations di una stagione indimenticabile. Gli spiriti di coloro che hanno lasciato la nostra dimensione corporea e le energie degli artisti vivi e vegeti devono senz'altro aggirarsi tra gli alberi e le foglie di questo luogo magico.
A proposito di spiriti, credo che questo Festival sia uno dei pochi luoghi in Italia dove si può bere del buon vino in calici di vetro, una sciccheria che ti porta a sorseggiare fin sotto al palco! Tanto per sottolineare il bel clima che si respira tra il pubblico presente, estremamente sereno, pacifico e concentrato solo al divertimento assoluto.
Il primo giorno di Festival parte con un line up di altissima qualità, come del resto per i due giorni seguenti e quelli del fine settimana successiva.
Sotto un sole ancora ruggente sono i TARE, quartetto da Vicenza, ad avere l'onore di aprire. E già solo la disposizione sul palco racconta tanto di questi giovani: batteria al centro del palco ad un paio di metri dal vuoto, di spalle al pubblico, come Miles Davis. A sinistra chitarra e tromba, a destra basso elettrico, di fronte alla batteria tastiere e sinth. Si definiscono "Tartare di drum&bass e maionese al dub" ma meglio non abboccare, loro trascinano il pubblico in un percorso senza generi di riferimento, stop e ripartenza inaspettate, distorcendo i canoni musicali in un cubismo sonoro da far felice non poco i coraggiosi a sfidare il caldo.
Non sarebbe stata una sorpresa se Frank Zappa si fosse dimenato in mezzo a loro in mutande, nella più rosea delle mise, dirigendoli a bacchetta come un Abbado lisergico. Quando si ha fede nel rock&roll si vede anche questo. Mezz'ora di live intenso da ballare e dove ascoltare gran parte dei generi suonati attraverso un caleidoscopio multicolor di rara bellezza. Zero parole, solo un microfono in distorsione a travisare chissà cosa. Bene così, se ne continuerà a parlare in futuro.
Cambio palco ben organizzato e dopo all'incirca una mezz'ora tocca agli YARD ACT far capire al tramonto quanta voglia c'è nell'inglesissima Leeds di fare buona musica. Formazione abbastanza recente, piuttosto tradizionale, con basso, batteria, chitarra, voce, tastiere e corista con notevoli doti coreografiche. Gli YARD ACT nei loro brani sono un torrente di parole, tante storie e tanto impegno sociale nei testi, ma non disdegnano accompagnarlo ad un bel funky rock trascinante, coinvolgente, ballabile e quasi pogabile. Not di merito al pensiero esplicito alla situazione della Palestina da parte del cantante James Smith, non sarà l'unico durante il corso della lunga serata.
Gli YARD ACT infiammano il pubblico pescando principalmente (ma non solo) dal loro ultimo LP del 2024, Where's My Utopia, un titolo manifesto dove è chiaro il messaggio della band. Molto efficace il basso di Ryan Needham, co-fondatore della band assieme a Smith, che oltre alla tecnica realizza un bellissimo suono dal cabinet Ampeg con ottimo spunto d'attacco, godimento da vero bassman. La corista, invece, è una autentica trascinatrice, coreografando ogni brano con originalità e birichina seduzione.
Non è chiaro se, alla fine dei loro 40 minuti a disposizione, durante il bis abbiano messo in scena una piece ad effetto o se l'abbandono improvviso del palco di James Smith, con un ben udibile "Fuck off!", fosse rivolto forse agli insistenti "cut cut cut" nei pressi delle quinte. Pubblico "astonished" ed è proprio il bello del rock&roll. Ingrato mestiere quello del direttore di palco.
Unica nota negativa le voci dei cori che andavano su e giù di volume, peccato.
Cambio di palco un pochino più lungo per accogliere gli SPIRITUALIZED da Rugby, UK, dove il frontman Jason Pierce, ex Spaceman 3, continuare a offrire al pubblico il suo progetto di psichedelia visionaria. Un set, quello degli SPIRITUALIZED, di estrema raffinatezza in primis musicale, con tre fantastiche coriste dalla voce e movenze black, ben tre chitarre, basso, batteria, tastiera e synth.
Un concerto che è un'esperienza a sé, dove la band non ha nessuna voglia di smuovere chiappette con facili scorciatoie: se si vogliono condividere i sentori della corsia di psichiatria, se si accetta di provare a capire la chimica anestetizzante del disagio, allora il premio è quello di essere cullati da un'equipe spiritualizzata e specializzata in anime ferite. Non ci sono compromessi, o dentro o fuori.
Se decidere di restare dentro, dal beat sbarazzino british style all'ipnosi ripetitiva del mantra spirituale, vi ritroverete a lavare l'anima dai mostri e dagli incubi, elevandovi a trascendenza collettiva per provare ad andare avanti. Note folk, note pinkfloydiane classiche, tanta apparente lentezza, insostenibile per chi è rimasto fuori, balsamo curativo per chi è entrato a cuore aperto.
Le bellissime chitarre strapazzano quasi tutto sommergendo la batteria in alcuni tratti, le coriste tessono trame di una rara eleganza, anche visiva. Di gran classe la scelta del bianco e nero per le immagini live sui maxi schermi. Tantissima cura su ogni singolo suono, un gioco di incastri meticoloso da grande band. Luci molto interessanti e non eccessive, giuste per il contesto della luce naturale di giugno verso le 21. Batteria dal suono non vivido, unica pecca di una performance di altissimo livello.
Gran finale con i MOGWAI dalla scozzese Glasgow, band ultra decennale dal carattere inossidabile. Ritrovarli live dopo vent'anni poteva mettere un filo d'ansia, ma così non è stato: il tempo a volte migliora la consapevolezza degli artisti, distilla le loro certezze e lima le parti acerbe della gioventù. Formazione classica, con l'aggiunta del fortissimo chitarrista turnista Alex Mackay, che fornisce alla band un gran bel supporto.
Si esce da un loro concerto piuttosto estraniati, dopo essere stati sopraffatti da una valanga di suoni e luci che inevitabilmente trasportano in mondi lontani, senza parole, perchè di loro non ce n'è bisogno. Senza parole, anche perchè questa è la maggiore peculiarità di una band che canta pochissimo, e quando lo fa camuffa la naturalezza del canto, distorcendolo e nascondendolo. In alcuni momenti le voci sono le nostre, quelle evocate da chitarre sovrapposte e incessanti, fughe e rincorse quasi senza fine, perché i MOGWAI in fondo vogliono dipingere nelle menti di ciascuno paesaggi sonori personalizzati e lasciare in dono la trascendenza di un viaggio individuale ed onirico.
Bandiera della Palestina sull'amplificatore di Stuart Braithwaite a sottolineare la vicinanza della band al dramma in corso.
Ed infine un piccolo gioco stupidino, tanto per leggerezza: comporre la band ideale nel primo giorno di Festival, per ciascun strumento.
Batteria: Leonardo Ziche - TARE. Eclettico e versatile può suonare con chiunque.
Basso: Ryan Needham - YARD ACT. Suono strepitoso e bella voce quando gli aprono il microfono.
Chitarra solista: Sam Shipstone - YARD ACT. Incendiario e capace di grandi show.
Chitarre ritmiche e di accompagnamento: ex aequo di Alex Mackay - MOGWAI e dei due chitarristi degli SPIRITUALIZED.
Voce: James Smith - YARD ACT. Potenza e passione.
Cori: coriste - SPIRITUALIZED. L'eleganza del corpo e della voce.
Tastiere e synth: SPIRITUALIZED. Suoni pazzeschi.