Le risposte di Lorenzo Del Pero sono brevi, concise, fotografiche. Spesso richiedo rettifiche, altri sviluppi, ma con lui non l’ho fatto, perché trovo in queste poche parole la sintesi potente di tutta la grandezza di questo disco. Ogni altra parola aggiunta avrebbe avuto il peso di una maschera di scena ridondante, inopportuna, vigliacca nella dimostrazione di povertà e debolezza.
Lorenzo Del Pero l’ho conosciuto solo grazie allo splendido lavoro della Vrec Music Label di David Bonato, che mi foraggia di cultura nuova. Si intitola Dell’amore animale, dell’amore dell’uomo, dell’amore di un Dio questo disco firmato da un cantautore che a tratti mi ricorda Fausto Rossi nella sua vena più ascetica e pop, dall’altra mi trascina in un altrove di dolcissima psichedelia sacrale, dove regna una quiete apparente che, dopo ogni ascolto, si fa tempesta e rivoluzione, sputa benzina sul fuoco della mia personalissima contestazione.
Dio. L’uomo. Animali tutti noi, di istinti, di cronicità mentali, di denaro e altre maschere decisamente puerili con cui vestiamo ogni cosa, Dio compreso. Voce sottile e rabbiosa quella di Del Pero che contesta (parola importante, parola che torna), che celebra con cruda verità; voce che diviene una freccia avvelenata al sistema della scena che l’uomo, nella sua povertà, mette in scena ogni giorno, tra regole: potere ostentato, burocrazie di sorta e ufficialità pomposa.
I suoni divengono semplici, puliti, suonati, rispecchiano le comode volute d’autore, spesso classiche, come dice lui: De André e Dylan sono presenti (ovunque, oserei aggiungere io), e non tanto nella forma quanto più nelle intenzioni. E le intenzioni di questo disco sono faticose, sono ambiziose, sono prese di coscienza, sono chiamate alle armi di una responsabilità che fatichiamo a concepire in luogo di conquiste e benessere che cinguettiamo senza rispetto e conoscenza.
L’ascolto di questo disco mi restituisce una sacralità pulita, fatta di carne e di luoghi della mente dove rifugiarsi ma senza malattia, senza pregiudizio e senza etichette. Dell’amore animale, dell’amore dell’uomo, dell’amore di un Dio non è per niente un disco facile. Forse uno degli ascolti più salvifici che ho portato a casa. E dopotutto, l’ascoltatore medio, direbbe che suona come un pop d’autore rivolto alle nostalgie anni ’70. Maledetta velocità. La sacralità prevede anche la fatica di ascoltare.
L’Amore. Io inizierei da questa parola. Perché spesso l’uomo in terra che cerca di istituzionalizzare tutto, di omologare la qualunque, di dare regole ed etichette, ha saputo anche come impacchettare l’amore nelle sue infinite forme e derive. Io penso che questo disco, tra le tante cose, cerca anche di restituire questa identità, la verità e la libertà a questa parola. Tu che ne pensi?
Se non si può essere liberi di amare, allora non è amore.
Ti lascio commentare anche questa. L’uomo in terra. Egli ha cercato da sempre di umanizzare ogni cosa, persino il sacro. Persino Dio trova in Cristo la sua figura umana. Ecco dunque un altro piano di lettura di questo disco: dividere e distanziare opportunamente il sacro e il terreno, la spiritualità e la carne che c’è attorno ai nostri vizi materiali.
L' amore, come qualsiasi altra manifestazione vitale, ha una dimensione carnale e una spirituale. Le due dimensioni non sono mai scindibili.
Gli animali, l’uomo e poi Dio. Capisco l’ultima differenza ma ti chiedo: perché separi l’uomo dagli animali?
Il mio intento, senza mancare di rispetto agli animali, era di evidenziare le differenze tra un amore malato, sbagliato e un amore adulto, consapevole.
Ti voglio fare una domanda assai delicata, sottilissima, spero ti arrivi come ce l’ho nel cuore perché non saprei in che altro modo fartela. Quanto devi a Dio il suono di questo disco? E quanto invece all’uomo e ai suoi animali?
La spiritualità pervade il disco ad ogni ascolto. Ho una formazione cattolica anche se mi definisco agnostico. Mi ritengo ignorante in questo senso. Ho mutuato molte immagini cristiane per dare un'identità a questa spiritualità e anche perché, quella cattolica, è l'unica religione che conosco.
Ritengo il Vangelo un'opera di rara poesia.
E ti cito chiedendo a te e non a Maria: vale più un uomo vivo che un Dio quasi morto?
L'uomo è il fulcro del mio interesse. Sempre. Credo che né noi uomini né Dio possiamo fare a meno gli uni dell'altro. Dio inteso come spiritualità.
Trovo che sacralità sia una parola importante. Oggi manca. Oggi tra Dio e l’uomo sembra non esserci distanza. Manca anche nei gesti quotidiani, essendo tutto decisamente privo di distanza ed è ottenibile senza fatica, senza sacralità. Che rapporto hai con la fatica delle cose? La preservi? Non mi sembri affatto un uomo che si adagia sulle comode scorciatoie.
Infatti non lo sono. La sacralità esiste soltanto attraverso la fatica e la fatica è sacra in quanto avvicina all'essenza delle cose. Non mi interessa un approccio superficiale e ho davvero pochi pregiudizi.
Pensando al suono e alla sua tessitura, mi hai totalmente conquistato nella semplicità delle origini di queste canzoni. Ci sono tantissimi richiami a soluzioni classiche della canzone d’autore. De André su tutti. Ma l’orecchio attento sa che non sono né copie né facili scappatoie per risolvere la scrittura, ma sono richiami di stile che io trovo anche molto molto personali. In merito che mi dici? Che mi racconti di questa scrittura? Su tutte “Ave Maria” si adagia su tessiture liturgiche ampiamente conosciute, ma decisamente uniche e personali allo stesso tempo.
“Ave Maria” è la canzone alla quale sono più legato. Parla della maternità. Parla di tutte le madri. De André è presente quanto Dylan. Spero di aver raggiunto un livello di maturità, nello scrivere, tale da affrancarmi da questi maestri e di aver trovato dei tratti distintivi e riconoscibili in me stesso.
A te una domanda che faccio sempre quando incontro dischi così potenti: che rapporto hai con il tempo?
Il tempo è una illusione. A volte non passa mai. A volte non basta mai.
Se è vero che questo disco torna alle origini della forma e delle sue soluzioni, portandosi certamente dietro la propria voce, è anche vero che l’ascolto mi restituisce la semplicità di luoghi periferici, arsi di sole, desertici e solitari. Mi riporta il legno di un paese disabitato, mi riporta alle tradizioni del popolo e della terra. E che rapporto hai con i luoghi?
Preferisco i luoghi mentali a quelli fisici, ma ci sono posti che mi porto dentro come sacri. Sono tutti legati alla natura, all'immanenza che la spiritualità esercita sulla bellezza.
Altri due protagonisti dunque, protagonisti di questo disco in via assoluta: la solitudine e il denaro. Dopo l’ascolto trovo che hai abilmente incollato il senso e il significato di queste due “cose” apparentemente incoerenti tra loro. Siamo un po’ tutti “sposi del denaro”, per edulcorare un’altra tua bellissima canzone. Che peso hanno nel disco e poi nella tua vita?
La solitudine mi è compagna e sorella fedele. Del denaro non mi è mai interessato nulla. “Sposa per denaro” è una canzone sulla rinuncia ai propri sogni e ideali.
Chiudiamo, promesso. Potrei continuare per giorni e mi capita raramente. Verrà la pioggia a lavar via le vostre colpe. I poteri forti sono alla gogna della tua lirica. Ma la tua, la nostra colpa, qual è?
La mancanza di empatia, di solidarietà fraterna. L'assenza.