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REVIEWSLE RECENSIONI
12/11/2018
Cloud Nothings
Last Building Burning
Il trio di Cleveland esibisce una qualità compositiva da fuoriclasse e firma quello che può essere senz’altro definito il proprio capolavoro

Se è legittimo giudicare la grandezza di una band dal grado di maturità raggiunto, si può affermare che i Cloud Nothings, con il loro ultimo Last Building Burning, siano finalmente diventati grandi. Non fraintendete: stiamo parlando di un band che ha fatto della veracità e della qualità un marchio di fabbrica, inanellando un crescendo di dischi uno più bello dell’altro.

Gli ultimi quattro anni di carriera sono però stati decisivi per il processo di crescita arrivato oggi al suo zenit: nel 2014, con Here And Nowhere Else, i CN hanno tenuto una lectio magistralis su come gestire la materia pop-punk, dosando un perfetto equilibrio fra melodie accattivanti, ritornelli catchy e la potenza deragliante di un noise rock urlato e vibrante, mentre, con il successivo Life Without a Sound dello scorso anno, hanno smussato gli spigoli più acuminati, dando maggior peso alla componente pop del loro songwriting. Due opere di valore assoluto, quindi, che hanno trasformato il giocattolino nelle mani di Dylan Baldi in una macchina da guerra che non sbaglia un colpo.

Last Building Burning eredita il meglio dei due dischi precedenti, innervando le otto canzoni che lo compongo di un furore selvaggio, gestito però con grande sapienza e fatto convivere per la prima volta in una forma canzone inusuale per gli standard dei Cloud Nothings. Ciò avviene in Dissolution, che non solo si pone come uno degli high lights del disco, ma propone anche un minutaggio inusitato e debordante. E’ un universo parallelo, quello esplorato dalla band originaria dell’Ohio, che, per la prima volta in carriera, coagula in quasi undici minuti un ribollente magma ove convivono post hard core, noise, feedback, riverberi, nebulose rarefatte e una vibrante coda, in cui una ritmica martellante e ossessiva conduce nuovamente alla violenta deflagrazione iniziale. Una struttura circolare e complessa, a testimonianza di una band capace di uscire dalla comfort zone per cercare nuovi territori in cui esprimere una creatività che ha raggiunto picchi altissimi.

Se Dissolution rappresenta una possibile nuova traiettoria per il futuro dei Cloud Nothings, il resto del disco eleva al massimo possibile gli standard già alti a cui il combo americano ci ha abituati. Lo fa fin da subito, con l’opener On An Edge, sconquasso post hard core, che colpisce nel segno come un uppercut sullo zigomo, aumentando notevolmente una potenza di tiro già considerevole.

Sanno fare malissimo, i Cloud Nothings, ma non dimenticano mai di giocarsi anche la carta vincente di un paio di brani (Leave Him Now e Another Way Of Life), in cui chiamano all’appello quelle accattivanti melodie lo-fi, che da sempre sono il piatto forte della casa. Due ottime canzoni, che da sole, però, non sposterebbero il giudizio su un disco che possiede, invece, le stigmate dell’alternative instant classic.

In Shame, infatti, riaccende l’epos della bellissima I’m Not A Part Of Me (da Here And Nowhere Else), gonfiando di lirismo sturm und drang tre minuti di canzone che sfidano con lo sguardo di fuoco il cupo livore del cielo in tempesta. Stupisce, poi, la ruggine nostalgica che ossida il riff post punk di Offer An End, e straziano il cuore le unghiate malinconiche sul muro elettrico di So Right So Clean, ballata che destruttura con ruvide distorsioni una melodia intrisa di rassegnata disperazione.

Se ancora c’è qualcuno che pensa ai Cloud Nothings come a una band di cazzoni alle prese con del pop punk tardo adolescenziale, dopo aver ascoltato Last Building Burning, avrà modo di ricredersi definitivamente: il trio di Cleveland esibisce una qualità compositiva da fuoriclasse e firma quello che può essere senz’altro definito il proprio capolavoro. Un disco che ferisce i padiglioni auricolari con scariche elettriche di rinnovata ferocia e guarda a un possibile nuovo futuro con baldanzosa consapevolezza. Indispensabile.