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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
26/08/2019
La Grazia Obliqua
Le interviste di Loudd
Il tramonto della civiltà occidentale, così come l’abbiamo conosciuta, che spalanca orizzonti nuovi, ancora non ben delineati, per questo forse spaventosi, forse ricchi di speranza. Il tutto raccontato con un linguaggio musicale che è figlio della Dark Wave ma che è allo stesso tempo molto lontano da qualsiasi tentazione nostalgica. Ne abbiamo parlato con Alessandro Bellotta, tra i membri fondatori del collettivo romano, voce e paroliere principale, raggiunto al telefono in studio, in un tardo pomeriggio estivo…

Due sembrano essere gli elementi da guardare, per accostarsi al progetto La Grazia Obliqua: un ritorno alla musica dopo 30 anni di inattività, da parte di un gruppo di persone che si è incontrato per caso e che ha semplicemente ritrovato la voglia di suonare assieme e successivamente di scrivere brani inediti; e poi, la scrittura di un disco, “Canzoni per tramonti ed albe: al crepuscolo dell’Occidente”, che segue di due anni l’ep di debutto e che nel suo lungo titolo fotografa in pieno l’epoca che ci troviamo a vivere. Il tramonto della civiltà occidentale, così come l’abbiamo conosciuta, che spalanca orizzonti nuovi, ancora non ben delineati, per questo forse spaventosi, forse ricchi di speranza. Il tutto raccontato con un linguaggio musicale che è figlio della Dark Wave ma che è allo stesso tempo molto lontano da qualsiasi tentazione nostalgica. Ne abbiamo parlato con Alessandro Bellotta, tra i membri fondatori del collettivo romano, voce e paroliere principale, raggiunto al telefono in studio, in un tardo pomeriggio estivo…

Che cosa state combinando in studio? Non starete mica già lavorando ad un nuovo disco…

In realtà stiamo facendo le prove. Stiamo rimettendo a punto tutto il nostro spettacolo live e stiamo lavorando anche sul nostro prossimo singolo, che uscirà tra fine settembre e inizio ottobre. Ci stiamo dedicando alle prove anche perché a settembre partirà la promozione vera e propria del disco, quindi sostanzialmente siamo chiusi in studio per questo!

A proposito, complimenti davvero: avete fatto davvero un bellissimo lavoro!

Ho letto quello che hai scritto, ti ringrazio molto! Anzi, ti dirò, quando leggo certe recensioni, capisco molto meglio quello che faccio! Nel senso che io normalmente non scrivo a tavolino, i miei pezzi nascono da trent’anni di sedimentazioni di ascolti, letture, culture che si sono accumulate e che nei due anni da che siamo insieme coi ragazzi della Grazia, stanno sgorgando come una specie di fiume, che poi noi assecondiamo…

Infatti quello che mi colpisce è proprio la grande varietà stilistica che si respira nel lavoro: c’è indubbiamente un marchio di fabbrica generale ma poi i singoli brani sono tutti molto diversi tra loro…

Nasciamo qualche anno fa come collettivo aperto, di contaminazione di varie forme artistiche: musica, arti visuali, scrittura, performance… non ci si siamo mai dati una definizione chiara in ambito stilistico, preferendo dare massimo spazio alla nostra libertà artistica. Il leit motiv che credo attraversi tutti i nostri testi e la nostra musica è però questo spleen, questa sensazione di decadenza, una dimensione un po’ crepuscolare. Ci troviamo a riflettere in maniera piuttosto spontanea quelle che sono le suggestioni dello spirito del tempo, utilizzando di volta in volta la lingua e lo stile che ci sembrano più adatti per esprimere certe immagini. Perché poi fondamentalmente è un linguaggio molto immaginale, quasi cinematografico. Vogliamo evocare visioni che tendono ad esprimere lo spirito del tempo, dal quale tutto l’occidente è interessato. A livello musicale poi, è chiaro che utilizziamo tutto un immaginario figlio della Dark Wave, del Punk e del Post Punk però a me piacciono molto anche le forme cantautorali: da De André a Brassens, da Leonard Cohen a Nick Cave, per cui forse è questo ciò che ci caratterizza di più, che fin dall’inizio abbiamo deciso di scrivere canzoni vere e proprie, non semplicemente una successione di due o tre accordi. Vogliamo fare brani che seguano la forma canzone, che puoi accompagnare col piano o con la chitarra e metterci dei vestiti addosso che sono di volta in volta quelli più congeniali ai temi che vengono toccati.

È interessante perché noi italiani soprattutto, abbiamo una tradizione cantautorale molto forte però voi non l’avete ripresa pedissequamente come fanno altri ma l’avete piuttosto incorporata nel vostro sound, fondendola con le altre influenze…

C’entra anche il fatto che abbiamo ripreso a suonare dopo parecchi anni. Io ho 50 anni e nella vita ho fatto altre cose, pur continuando ad ascoltare musica. Adesso, dopo questo incontro, è come se tutto ciò che è stato lasciato in sospeso stesse sgorgando come un fiume in piena. Questo poi, rispetto alla nostra tradizione, viene fuori tutto. Era molto meno a fuoco nel nostro primo ep, che viveva di un eclettismo che rischiava però di diventare un po’ confusionario. Adesso invece abbiamo la sensazione che tutto abbia trovato la giusta collocazione, che sia più armonico, omogeneo. Per cui piano piano, e i feedback che ci arrivano sono incoraggianti da questo punto di vista, è come se stessimo mettendo a fuoco un linguaggio sempre più riconoscibile.

Mi interessa molto capire questo concetto di “Tramonto dell’occidente”, che mi pare fotografi piuttosto bene la situazione della nostra modernità, o post modernità, a seconda di come la consideriamo. Che poi nei vostri testi citate figure come Pasolini, Nietzsche e Rimbaud che, seppure molto diverse tra loro, sono piuttosto rappresentative di questo trend…

Il titolo è venuto fuori un po’ come una visione, l’ho messo a fuoco solo in un secondo momento. È un modo di procedere che utilizzo sempre nei testi ma d’altronde, essendo io uno psicanalista, è piuttosto normale. Heidegger diceva per altro che l’Oriente coglie i fenomeni alla loro alba, l’Occidente al loro tramonto. Credo che il momento in cui viviamo incarni perfettamente questa frase. Viviamo una dimensione di tramonto di tutte quelle certezze che fino a poco tempo fa avevano stabilizzato le nostre vite, le nostre identità. Pensa ad esempio a Bauman e a quello che ha scritto sul concetto di “società liquida”. Ecco, io credo che i nostri brani siano attraversati da questa suggestione che arriva dallo spirito del tempo ma con un focus che rimane sempre sull’uomo. Non affrontiamo mai in maniera diretta tematiche sociali e politiche, non facciamo canzoni di protesta. Il nostro focus è sempre l’uomo, per cui questa crisi si manifesta in lui con un senso di spaesamento, di disorientamento che però apre anche ad una dimensione di speranza. L’idea è che siamo all’interno di un ciclo che non sappiamo quanto durerà: il tramonto, così come l’alba, è un momento di passaggio, c’è sempre un’alba dopo aver attraversato una lunga notte. Credo che sia questo, in definitiva, il filo conduttore che attraversa tutti i brani che scriviamo.

In effetti lo si sente dire da più parti, che la crisi può essere un’opportunità, no?

Assolutamente. Il disco è attraversato da umori e da suoni che rimandano più alla dimensione del crepuscolo che a quella dell’alba. Però se poi vai a leggere con attenzione i testi, da qualche parte arriva questa dimensione della speranza; non si tratta mai di un nichilismo sterile, chiuso in se stesso. Chissà, magari nel prossimo disco ci sposteremo di più sul tema dell’alba! Sai, nell’alchimia la prima fase è quella dell’incontro con l’ombra: questo è un disco in cui incontriamo e dialoghiamo la dimensione dell’ombra però è un viaggio, quello che si è aperto, non sappiamo bene dove ci sta portando, a livello stilistico ma anche a livello delle nostre vite. È un grande dono che ci ha fatto la vita perché fino a pochi anni fa nessuno avrebbe pensato di poter tornare a fare musica. Anche questo continuo richiamo alla bellezza, questo “cantare bellezza” tutta la vita, come diciamo nell’omonimo brano: non è una resa bensì un’apertura ad una dimensione di ottimismo.

A questo punto sarebbe davvero il momento di raccontare meglio che cosa ti ha fatto riprendere a suonare, dopo così tanti anni di pausa…

L’amore per la musica e gli incidenti. Come dice Glezos, “Siamo in attesa di incidenti”. L’incidente, la sincronicità, gli incontri casuali che poi però non sono mai così causali. Abbiamo iniziato qualche anno fa, semplicemente per la voglia di ritornare a fare musica, assieme ad alcune persone che fanno parte della line up attuale e ad altre che nel frattempo se ne sono andate. Abbiamo dapprima suonato delle cover: nel nostro primo ep ci sono “Venus in Furs”, un pezzo dei CCCP (“A ja Ljublju Ssr” NDA), poi abbiamo rifatto tutto il primo album dei Velvet Underground e infine, circa due anni e mezzo fa, anche per l’insistenza di Massimo Bandiera, che possiede il Ghostrack Studio ed è uno dei veri musicisti del gruppo, abbiamo provato a scrivere cose nostre. Non abbiamo mai amato le cover band per cui credo che se non avessimo fatto questo passo la cosa sarebbe morta lì. Ci ho provato e sono venute fuori parole, armonie, così che piano piano sono uscite queste canzoni. Quindi nessuna strategia a tavolino, piuttosto un’apparente casualità, piccoli incidenti di percorso che si sono coagulati intorno a quello che è il progetto attuale. Se quindi fino a pochi anni fa eravamo un gruppo di amici che si trovavano a suonare, oggi siamo una band: siamo La Grazia Obliqua, abbiamo qualcosa da dire e cerchiamo da dirla nella maniera più passionale e libera possibile, senza strategie! D’altronde non abbiamo più vent’anni, non suoniamo certo per diventare famosi! Poi ovvio, se ci sono dei riscontri, tanto meglio!

Parliamo della mia traccia preferita, che è “Velvet”: mi ha molto colpito il modo in cui avete raccontato la storia di questo storico locale di Roma. Il vostro non mi pare affatto un pezzo nostalgico ma mi sembra comunque interessante chiederti secondo te cosa è cambiato oggi, in termini di fruizione della musica. La mia impressione è che all’epoca ci fosse una dimensione comunitaria che oggi appare irrimediabilmente perduta… oggi più che altro si fruiscono certe band, certi generi, così come si celebrano delle istituzioni ma senza penetrarne a fondo il messaggio. Non so, recentemente sono stato a Firenze a vedere i Cure e l’impressione è stata quella di un grande carrozzone…

Sono assolutamente d’accordo. Il Velvet era di proprietà di Massimo Bandiera ed è lui che ha scritto il testo del brano. In quegli anni era il centro nevralgico di un certo modo di vivere la musica, si era creata una vera comunità, che aveva un’identità, uno spirito di appartenenza, un modo comune di sentire le cose. La canzone è quindi un omaggio ad un certo mondo che non c’è più o forse no: probabilmente siamo noi che non siamo in grado di identificare con chiarezza nuovi fenomeni che stanno già nascendo. Ovviamente la dimensione di appartenenza si è persa ma questo non è avvenuto solo nella musica. Con il crollo delle ideologie, che pure hanno fatto molti danni, è però crollato anche il senso di appartenere a qualcosa nella quale ci si riconosceva. È anche per questo che siamo in una fase di transizione, perché non c’è più qualcosa che ti definisce dal punto di vista ideale e collettivo e ancora non c’è qualcosa di nuovo a cui aggrapparsi. La conseguenza, soprattutto per le giovani generazioni, è che inevitabilmente si scivola verso l’individualismo mentre invece i nostri coetanei rischiano di cadere nell’effetto nostalgia: come hai detto tu, si vanno a vedere questi grandi concerti così come si va in un museo, ad osservare cose molto belle ma con distacco, senza potervisi riconoscere più di tanto. “Velvet” è un po’ tutto questo: quando lo presento dal vivo lo definisco un “déjà vu”, qualcosa di già visto ma allo stesso tempo aperto a qualcosa di nuovo. Nel testo diciamo “È ora di struccarsi” ma non nel senso di arrendersi: si depone una certa forma ma si può lo stesso andare avanti a creare cose nuove, pur nel rispetto della propria storia.

Che cosa ha voluto dire per voi chiudere il disco con un brano su Pasolini?

Pasolini ha una grande importanza per me, soprattutto dal punto di vista personale. È un brano che ho scritto di getto e a cui tengo veramente moltissimo. Ad un certo punto abbiamo riflettuto se metterlo o meno nell’album perché, pur essendo molto bello, pensavamo che fosse troppo lontano dalle sonorità del disco. Invece poi abbiamo vinto queste esitazioni e devo dire che abbiamo fatto bene. Al di là delle riflessioni che si possono fare sulla figura di Pasolini, che io trovo assolutamente attualissima, profetica, questo paradossalmente non è un brano su di lui quanto un brano sul potere e sul suo rapporto col tema archetipico della madre, soprattutto con quello della madre divorante, qualcosa che, se non viene sciolto, può arrivare a condizionare in maniera drammatica gli aspetti autodistruttivi della nostra vita. Alla fine del brano il protagonista torna nel ventre caldo della madre, che sta lì ad accoglierlo, per cui credo che il tema principale sia proprio questo. Pasolini è stato emblematico in questo: grande intellettuale ma con una dimensione masochistica, autodistruttiva che credo in parte abbia segnato la sua fine.

Chiudiamo parlando del prossimo futuro: che cosa succederà adesso?

Quest’estate avremo ancora qualche data, poi a settembre riprenderemo in maniera più decisa con la presentazione dell’album. Ci piace molto suonare dal vivo, fondamentalmente, per cui speriamo che arrivino dei live per portare in giro il più possibile il nostro disco, magari anche con qualche data all’estero, visto che qualche segnale positivo ce lo abbiamo. Poi stiamo lavorando ad un nuovo singolo, del quale ancora non posso dirti niente però (ride NDA) e poi stiamo già pensando ai brani del prossimo lavoro, visto che abbiamo già sei, sette pezzi scritti su cui dobbiamo iniziare a lavorare… un sacco di cose, insomma!

Ci sono quindi delle possibilità di vedervi a Milano?

Assolutamente sì! Ci teniamo tantissimo a muoverci da Roma, che è un po’ il nostro nume tutelare, la cui presenza attraversa in lungo e in largo la nostra scrittura. È una roba che ti devasta e dalla quale non ti riesci a staccare, un po’ come “La grande bellezza”, se hai capito cosa intendo. Insomma, finora siamo stati prevalentemente qui ma adesso speriamo di riuscire ad uscire un po’ di casa…

 

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Velvet 1994?-?2000 (Remix) - EP

 

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Canzoni per tramonti e albe - Al crepuscolo dell'Occidente


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