Cerca

Banner 1
logo
Banner 2
RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
06/06/2022
Leon Russell
Leon Russell
Esiste un artista talmente versatile da aver racchiuso in maniera sublime nella sua musica rock and roll, folk, gospel, R&B, country e blues? La risposta è affermativa e il suo nome è Leon Russell, storico autore di canzoni indimenticabili nonché formidabile pianista e multistrumentista. L’album di esordio da solista omonimo, pubblicato nel 1970, è di una bellezza sfrontata: canzoni come “A Song For You”, “Delta Lady” e “Hummingbird” vanno a braccetto lungo i sentieri dell’eternità.

“I love you in a place where there's no space or time
 I love you for my life, 'cause you're a friend of mine
 And when my life is over, remember when we were together
 We were alone, and I was singing my song for you”

 

“Ti amo in un luogo dove non c'è spazio o tempo, ti amo per tutta la vita, perché sei una mia amica, e quando la mia vita sarà finita, ricordati di quando eravamo insieme. Eravamo soli, e io cantavo la mia canzone per te”, sono le parole che coincidono con il momento più struggente di "A Song for You"; il piano e il flicorno contralto continuano a intrecciarsi, mentre una voce sofferta, come stanca di stare al mondo, dichiara il proprio sentimento. Comincia con un’intensa ballata l’esordio solista discografico di Leon Russell, inizia con una delle più belle canzoni d’amore mai scritte, e in seguito interpretata da una pletora di gruppi e artisti. Come dimenticare la versione gospel di Donny Hathaway, quella dei Carpenters, diventata un classico, o la rivisitazione intima di Willie Nelson e l’accorata di Ray Charles? Ma il fascino dell’originale è irraggiungibile: sta tutto in quel pianoforte accarezzato in scala discendente e quel “tenor horn” suonati al fine di creare un’atmosfera unica, per cominciare una confessione commovente, una dimostrazione di quanto si possa voler bene a una persona e trascendere i beni terreni per rifugiarsi speranzosi in un posto in cui tutto è diverso, laddove non si dimentica il passato e affiorano i ricordi.

L’opener del disco dimostra la caparbietà e sicurezza del suo autore: intraprendere il debutto in musica nel genere rock con una love ballad è quantomeno una mossa doppiamente rischiosa, tuttavia è proprio qui che si palesa la caratura del personaggio. Aprire dolcemente, non con un botto, ma con una seduzione, che genialità! E subito dopo il piedino comincia a battere forte il ritmo con "Dixie Lullaby", cronistoria, anche a livello lirico, della nascita del rock and roll, condensata in due minuti e mezzo di libidine; praticamente uno shuffle, scritto con l’immarcescibile Chris Stainton, carico di immagini cinematografiche e sporcato da una slide con attitudini southern che non stonerebbe in un lavoro dei Lynyrd Skynyrd.  Il vigore non si ferma e diventa tribale nella spiritata e fangosa "I Put a Spell on You", celebrazione del blues primordiale di Robert Johnson, elettrificato à la Muddy Waters.

 

Non v’è dubbio che Russell, pur trovandosi al principio della carriera discografica, abbia tutto il diritto di sentirsi spavaldo e determinato. Nei dieci anni precedenti ha fatto, come si suol dire, la gavetta, e partecipato, in veste di session man, ai successi dei Beach Boys, di Glen Campbell e delle Ronettes, persino di Frank Sinatra. Si tratta, fra l’altro, solo della punta dell’iceberg delle collaborazioni per il Genio di Oklahoma”, classe 1942, storico esponente del Tulsa sound, che nel ’69 si unisce ai Friends della storica coppia del “blue-eyed soul” Delaney and Bonnie prima di regalare un brano di successo, "Delta Lady", a Joe Cocker, il quale sarà da lui ispirato a organizzare il Mad Dogs and Englishmen tour, un incredibile viaggio psichedelico che infervora tutto il 1970. Proprio "Delta Lady" viene riproposta in questa raccolta in una versione che infiamma il cuore, agile, fluida mistura di gospel, R&B e rock and roll, impreziosita da un solo di piano notevole, che fa capire da chi abbia preso spunto Elton John nel costruire certi fraseggi e armonie.

Le contaminazioni con le radici dell’american music sono evidenti nella magnetica "Shoot Out On The Plantation", racconto di un “vivace” alterco fra musicisti amici alla Plantation, la loro casa condivisa in California, e nella sciabordante "Prince of Peace", un mare impetuoso, schiumante e talmente luminoso da far serrare forte gli occhi. La prima sembra uscita direttamente da Bourbon Street di New Orleans, mentre la seconda vanta soli di chitarra cesellati magnificamente dal compagno d’avventure Eric Clapton, uno dei pregiati ospiti di tale progetto, che include pure gli ex-beatles George Harrison e Ringo Starr.

 

“In Hummingbird faccio un paragone tra il colibrì e una donna, una donna minuta che ama il personaggio che canta la canzone e si avvicina a lui con la grazia di quel piccolo uccellino. Lei riesce sempre a calmare la sua impazienza, la sua collera, anche senza dire nulla. Il fatto che lei lo capisca e lo tranquillizzi gli fa comprendere quanto sia fortunato. Non vorrebbe mai perderla in nessun modo!”.

 

Ecco un altro vertice dell’opera, un brano ripreso più volte in carriera dal re del blues B.B. King e qui immortalato con una candida e toccante cornice gospel, con il finale incendiato dal sax malinconico di Jim Horn. In "Hummingbird" la musica è talmente ispirata da superare il concetto di dimensione. Oscilla, dondola, rotola e scivola via scavando un tunnel per addentrarsi nel cuore dell’ascoltatore, ora sospeso in un mondo magico parallelo.

"Old Masters" è un acquerello dipinto in pochi secondi al piano e riprende, utilizzando una diversa melodia, la prima strofa di "Masters of War" di Dylan; stupisce per intensità, invece, "Give Peace a Chance" - quanto mai attuale in questo frangente -, dove una composizione di matrice soul vira in un potente spiritual, pilotato dalle voci dei magnifici Delaney & Bonnie, una botta di vita. La parte conclusiva cala leggermente di tono, con la ballata bluesy "Hurtsome Body", reminiscente della lezione di Bessie Smith e del suo capolavoro "Nobody Knows When You’re Down and Out", e l’anonima seppur carina "Pisces Apple Lady". Ci pensa l’ultima canzone, la spumeggiante "Roll Away the Stone", a rialzare i toni e la scelta del titolo fa pensare a uno scherzo nei confronti di Bill Wyman e Charlie Watts, presenti nel brano insieme a Harrison, Clapton e Steve Winwood.

 

Rimane imperdibile per gli appassionati la ristampa e masterizzazione dell’opera avvenuta nel 1993 e concepita da un maestro di tali operazioni, il mitico Steve Hoffman. Questa versione, la cosiddetta “24 Karat Gold CD” brilla per la lucentezza dei suoni, la chiarezza e pulizia di ogni singolo strumento che, oltre ovviamente all’effetto stereo, va a sovrapporsi, a stratificarsi, ma mai a soffocare gli altri presenti. Non solo, allo splendore sonoro si aggiungono cinque tracce inedite di una bellezza immensa: su tutte la vibrante "Jammin’ with Eric", con appunto Clapton e Russell assatanati in una spiritata improvvisazione di oltre quattro minuti e la perla "(Can’t Seem To) Get a Line on You", provino registrato agli Olympic Sound Studios di Londra che prevede Mick Jagger alla voce e Ringo Starr dietro alle pelli, una chicca per palati fini, giacché risulta essere la versione primordiale da cui nascerà la celebre "Shine a Light" delle Pietre Rotolanti”.

Sarebbe errato e ingiusto definire quest’album dell’eclettico Leon Russell già come l’apice di carriera, sicuramente permane una pietra miliare, come il susseguente Leon Russell and the Shelter People (1971), la tonitruante partecipazione al Concert for BanglaDesh, il ruspante Will O’ the Wisp (1975) e One for the Road (1979), delizioso, in coppia con Willie Nelson. Se gli anni ottanta e novanta sono avari di soddisfazioni, lo stuzzicante Moonlight & Love Songs, con la Nashville Symphony, contribuisce a rinverdire gli antichi fasti agli inizi del nuovo secolo, prima dell’apoteosi toccata con The Union nel 2010 in cui si ricongiunge con uno dei suoi più grandi fan, Elton John, giustappunto, che lo definisce mentore e profonda ispirazione e, è bene ricordarlo, incide proprio nello stesso periodo di "A Song for You" la sua "Your Song". Coincidenza? Forse sì, forse no, rimane invece una certezza nel 2011 l’induzione di "Leon", nato Claude Russell Bridges, sia nella Rock and Roll Hall of Fame, sia nella Songwriters Hall of Fame.

Cinque anni dopo, probabilmente indebolito da svariate problematiche di salute, compresi un infarto e un’operazione al cuore, Russell abbandona questo mondo nel modo più lieve, morendo nel sonno, lasciandoci l’ultimo sorprendente disco, On a Distant Shore, che vede la luce, postumo, nel settembre 2017. Un lavoro che rimanda a Frank Sinatra e ai crooner degli anni ’30-’50, un ritorno agli esordi per un artista speciale, che sapeva di essere agli sgoccioli della sua vita e voleva aggrapparsi agli ultimi momenti che il mondo gli concedeva rimembrando il passato, unico modo per cercare di fermare l’implacabile scorrere del tempo.

 

“L’ala del tempo batte troppo in fretta, la guardi, è già lontana”. (Omar Khayyam)