Quello che sorprende ascoltando un disco degli MGMT è che riesca a suonare sempre così dannatamente moderno. Fin da quel strabiliante esordio intitolato Oracular Spectacular (2007), infatti, il duo newyorkese ha rimasticato e frullato tutto lo scibile musicale, dal pop al rock, dal soul al progressive, dal funky alla psichedelia, citando alternativamente mostri sacri come David Bowie, Neil Young, Yes, Beach Boys (la lista sarebbe interminabile), senza mai perdere la propria identità, senza venir meno al proprio credo o perdere di vista il quadro d’insieme.
E anche quando l’ispirazione ha lasciato a desiderare (vedi il deludente MGMT del 2013), e le canzoni risultavano pasticciate e prive di mordente e originalità, quel suono, quella predisposizione a essere calati nella contemporaneità guardando con slancio al futuro, non è mai venuto meno.
Nell’agenda di Andrew VanWyngarden e Benjamin Goldwasser gli appunti che riguardano gli anni ’80 e il synth pop sono sempre stati presenti, ma con questo nuovo Little Dark Age la narrazione si fa meno estemporanea e più strutturata. L’ennesimo viaggio nel tempo, dunque, e una sorta di ritorno al futuro verso suoni datatissimi che però nelle mani del duo trovano nuova linfa e giocosa freschezza.
Canzoni che prendono forma dal consueto caos organizzato (a co-produrre c’è Dave Fridmann già con Mercury Rev e Flaming Lips), in cui l’accavallarsi di sequencer, strumenti elettronici e acustici, ritmiche quadrate o follemente astruse, possiede una sfrontatezza spiazzante, la cui logica si comprende dopo qualche ascolto, quando melodie invero mai così accattivanti emergono in tutto il loro splendore.
Sono gli Mgmt al meglio, quelli dal suono immediatamente riconoscibile, fantasiosi e lucidi al contempo, come probabilmente non li abbiamo più ascoltati dai tempi del loro esordio sotto questa ragione sociale; eppure, nonostante l’immediata riconoscibilità del marchio di fabbrica, è piacevole, soprattutto per chi gli anni ’80 li ha vissuti in prima persona, trovare fra le pieghe del disco riferimenti agli eroi di quella stagione tanto, e spesso a torto, vituperata.
La tiitle track così smaccatamente new wave e sottilmente goth cita con gusto autoironico i Cure (vedasi il video che accompagna la canzone), Me And Michael tira in ballo addirittura il movimento new romantic, ed è impossibile non ripescare dal passato nomi come Visage o The Human Legue, solo per citarne un paio. Due episodi, questi, che sono emblematici per raccontare un disco in cui il synth pop, nelle sue diverse accezioni, è il collante della scaletta: declinato in veste dance nella bellissima One Thing Left To Try, con accenti dream nella conclusiva Hand It Over o psichedelici come nella nebulosa evanescenza di James.
Un album clamorosamente derivativo ma i cui riferimenti stilistici sono plasmati con tanta maestria e modernità da far apparire ogni canzone come fosse nuova di zecca. Abbiamo dovuto aspettare cinque anni, un tempo lunghissimo, e forse nemmeno ce lo saremmo più aspettato, ma gli Mgtm sono tornati ai livelli di ispirazione di Oracular Spectacular: una notizia bellissima per chi ama la musica di qualità.