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REVIEWSLE RECENSIONI
19/03/2024
Sleater-Kinney
Little Rope
Nato dal dolore generato da una grande perdita, Little Rope condensa il meglio del suono Sleater-Kinney, mai così in palla da No Cities To Love.

Quasi trent’anni di storia e undici album pubblicati sono il ruolino di marcia di un gruppo che, dopo una folgorante prima parte di carriera, chiusa con uno iato di un decennio, è stato capace di rigenerarsi e di trovare una nuova, appassionata giovinezza. Certo, il percorso per giungere a questo ultimo Little Rope non è stato lineare e di cose importanti, che hanno messo in discussione l’identità della band, ne sono accadute parecchie.

Dopo la svolta synth-pop del monocromatico The Center Won't Hold (2019), prodotto da St Vincent, Carrie Brownstein e Corin Tucker si sono separate, senza tante cerimonie, dalla batterista Janet Weiss, il cui modo di suonare era, letteralmente, una parte fondamentale ed identificativa del suono Sleater - Kinney. Quel disco, ritenuto deludente dai fan di vecchia data, produsse il rapido ritorno alla chitarra e al rock con la R maiuscola di Path of Wellness (2021), una sorta di disco della restaurazione, forse non particolarmente audace, ma accolto con un sospiro di sollievo da quanti ritenevano la svolta pop un incomprensibile tradimento.

 

Little Rope rappresenta un ulteriore passo avanti nella direzione giusta, è un lavoro di qualità, che riassume al meglio tutto lo Sleater - Kinney pensiero: lo stridere disturbante delle due voci, le melodie oblique, gli spigoli acuminati di riff assassini, l’ardore scompigliato di assalti sonori all’arma bianca, i testi abrasivi e senza fronzoli.

Una mise en place, questa volta, ispirata, però, al dolore e alla perdita: nell’autunno del 2022, infatti, la madre e il patrigno di Carrie Brownstein sono rimasti entrambi uccisi in un incidente stradale mentre erano in vacanza in Italia. Non c’è da stupirsi, quindi, che il disco bruci di un’intensa passione e sia plasmato da mani colme di sincera angoscia e tristezza. In alcuni passaggi del disco questo aspetto è quasi tangibile.

C'è un momento, ad esempio, durante nel ritornello finale di "Say It Like You Mean It", l’episodio migliore e più catartico di Little Rope, in cui la voce di Corin Tucker sale a un registro più alto con un'intensità così febbrile da lasciare quasi senza parole (“Say it like you mean it, i need to hear it before you go, say it like you mea nit, this goodbye hurts when you go”). Un momento di grande tensione, che suona davvero come un omaggio all’amica, una dimostrazione di empatia, di condivisione, un forte abbraccio a un affetto che soffre. D’altra parte, molto del materiale che è confluito in scaletta era già stato scritto, ma questa improvvisa e toccante perdita ha costretto la coppia a ricalibrare il proprio approccio in studio, rendendolo più oscuro e maggiormente patetico (nell’accezione positiva del termine).

 

Fatta questa doverosa precisazione, il resto del disco non pone in essere alcuna rivoluzione, ma rappresenta semmai una piccola evoluzione rispetto al suo predecessore in termini di scrittura. Insomma, siamo di fronte al classico disco Sleater - Kinney, e come tale anche straordinariamente conciso nella sua esecuzione. In tal senso, "Small Finds" e "Six Mistakes" incanalano quell’elettricità disturbata e quell'energia ferocemente dissonante, coerente con la storia della band, mentre la muscolare "Needlessness Wild" si espande verso un rock emozionale e carico di hook che fece la fortuna di un disco splendido come No Cities To Love (2015), e l’eccellente apertura di "Hell" gioca una delle carte migliori del mazzo del duo, e cioè il contrasto fra strofe cupe, quasi statiche, e ritornelli esplosivi.

Negli ultimi 30 anni, le Sleater-Kinney hanno tracciato un percorso unico, passando dagli albori riot grrrl, attraverso l’alternanza fra sperimentazione e ricerca della forma canzone, fino alla realtà odierna, in cui la maturità ha ridefinito ulteriormente il segno distintivo della loro urgenza, riletta attraverso le lenti di quello che sembra un definitivo equilibrio. E’ stato un viaggio lungo, complicato, punteggiato di sconfitte, perdite e dolore, ma oggi come allora è una gioia sentire uscire dalla casse dello stereo la musica di queste ragazze, il cui sodalizio, oggi più che mai sembra, sembra forte, incrollabile, proiettato verso il futuro.