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REVIEWSLE RECENSIONI
07/01/2019
Beth Hart
Live At Royal Albert Hall
Questo Live At The Royal Albert Hall suona come la consacrazione definitiva di un’artista che si è conquistata, stringendo i denti e non mollando mai, nonostante un passato problematico, una fetta di audience sempre più ampia.

A prescindere da tutte le altre uscite discografiche, il 2018 verrà ricordato, in ambito rock blues, come l’anno della consacrazione definitiva di Beth Hart. Non solo per le numerose uscite discografiche a suo nome (Black Coffee, terzo album in studio con Joe Bonamassa, e Front And Center Live From New York, resoconto di un concerto tenutosi all’Iridium Jazz Club, il 7 marzo del 2017), ma anche, e soprattutto, per un’attenzione mediatica mai così rilevante, tanto che in molti, anche nel nostro paese, si sono accorti della sua esistenza e della sua bravura.

Insomma, è finalmente arrivato il successo, quello su cui molti avrebbero scommesso dopo la pubblicazione del suo secondo disco, Immortal (1996), e che, invece, è tardato, almeno fino a quando la Hart non ha incominciato a esibirsi col suo pigmalione artistico, Joe Bonamassa.

Questo Live At The Royal Albert Hall (esibizione tenutasi il 4 maggio del 2018) suona, dunque, come la consacrazione definitiva di un’artista che si è conquistata, stringendo i denti e non mollando mai, nonostante un passato problematico, una fetta di audience sempre più ampia, che ha saputo ampliare nel tempo i suoi registri espressivi (non solo blues e rock, ma anche soul, jazz e una dimensione più intima e cantautoriale) e che, disco dopo disco, ha migliorato le proprie indiscutibili doti vocali, fino a giungere a un livello di perfezione assoluta.

Difficile, dunque, non innamorarsi di questi due cd (e relativo dvd), in cui Beth Hart dimostra di essere non solo abile songwriter ed inarrivabile interprete ma, anche, un’incredibile performer. Un live act senza un solo momento di stanca, quindi, in cui la Hart vive quasi un processo osmotico col suo pubblico, con cui dialoga e gigioneggia, dando vita a divertentissimi call and response, e in cui la caratura tecnica dell’esibizione (backing band da urlo con Jon Nichols alla chitarra, Bob Marinelli al basso e Bill Ramson alla batteria) viene fagocitata dal carisma e dalla passionalità della cantante losangelina.

Che non risparmia energie, dando tutto fino all’ultima stilla di sudore, e che si mette a nudo, nella sua femminile fragilità, commuovendosi alle lacrime quando dedica al suo manager e marito, Scott Guetzkow, un’intensa e struggente Leave The Light On (per inciso, Scott è stato l’uomo che ha salvato Beth dalla dipendenza dalla droga, aiutandola anche a curarsi da alcuni importanti disordini bipolari).

Un set estremamente vario, che inizia con una As Long As I Have A Song, cantata a cappella in mezzo al pubblico, prima di salire sul palco, che ha i suoi momenti tirati e muscolari (For My Friends, Baby Shot Me Down, Trouble e un’immensa Waterfalls, con Nichols sugli scudi), ma che trova il suo apice nei momenti più raccolti, quando la Hart si siede al piano per un filotto di canzoni che lascia col groppo in gola per l’emozione (la citata Leave The Light On, ma anche Take It Easy On Me e My California).

 Le due ore di concerto si chiudono con Caugth Out In The Rain, slow blues dalle temperature altissime, in cui la Hart da sfoggio di tutto il suo bagaglio vocale, dimostrando, se ce ne fosse bisogno, che potrebbe cantare anche “Le tagliatelle di nonna Pina”, riuscendo comunque a spappolarti il cuore.

Live superbo.