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REVIEWSLE RECENSIONI
04/12/2020
The War On Drugs
Live Drugs
Quello che si può ascoltare in questo disco è dunque ciò che negli ultimi anni è successo sui palchi di mezzo mondo quando c’erano i War On Drugs a suonare: potenza evocativa ai massimi livelli, canzoni di tre accordi che in mano alla band si tramutavano in autentici viaggi a metà tra il lisergico e il sinfonico.

Strana band, i War On Drugs, adorata dagli alternativi di mezzo mondo, nonostante poi, ad ascoltarla bene, suoni come un incrocio tra Springsteen e i Dire Straits periodo “Brothers in Arms”, con giusto una spruzzatina del Bob Dylan di “Infidels” nel mezzo (disco, guarda caso, prodotto da Mark Knopfler). Non è un giudizio denigratorio, il mio, tutt’altro. È solo per evidenziare come, ogni tanto, anche la coerenza dei più ferrei vada a farsi (giustamente) i War On Drugs affondano nell’Americana Mainstream molto di più di quello che si vorrebbe ammettere; se chi detesta la musica cosiddetta “Roots” ma poi ama loro, dimostra solamente quanto la scena odierna sia molto più complessa e difficilmente interpretabile rispetto a qualche decennio fa.

Detto questo, era ora che arrivasse un album live dal collettivo di Philadelphia. Chi li ha visti in azione sul palco sa che cosa sono in grado di combinare questi sei musicisti quando liberano le proprie forze in piena sinergia. Io stesso, pur avendo avuto solo una mezza occasione (al Primavera Sound del 2018, dove ho guardato metà set, prima di buttarmi dalle parti degli Unknown Mortal Orchestra, scelta che un po’ rimpiango, visto che la prova dei neozelandesi non fu proprio impeccabile) rimasi favorevolmente impressionato e da allora attendo di poterli rincontrare. 

“Live Drugs”, che esce per la Super High Quality, l’etichetta personale di Adam Granduciel, è da un certo punto di vista un disco dal vivo atipico. Non tanto perché non è un doppio (74 minuti sono più che sufficienti, soprattutto se non si è super fan) quanto perché è stato registrato nel corso degli ultimi cinque anni di tour, tra il 2014 e il 2019. Non solo dunque i concerti di “A Deeper Understanding”, il disco che ha fruttato loro un Grammy nella categoria Best Rock Album, ma anche quelli per promuovere il precedente “Lost In The Dream”, che ha di fatto segnato la consacrazione commerciale per Granduciel e soci.

La formazione, vado a memoria, dovrebbe comunque essere la stessa, col leader coadiuvato dai fidi David Hartley, Charlie Hall e Robbie Bennett, e coi nuovi innesti rappresentati da Jon Natchez e Anthony LaMarca. Un gruppo affiatato, composto da musicisti esperti (alcuni dei quali polistrumentisti) che in questi anni ha dato forma al suono dell’unico mastermind e compositore, dando modo alle sue canzoni di trovare la strada verso un’autentica grandezza.

Quello che si può ascoltare in questo disco è dunque ciò che negli ultimi anni è successo sui palchi di mezzo mondo quando c’erano i War On Drugs a suonare: potenza evocativa ai massimi livelli, canzoni di tre accordi che in mano alla band si tramutavano in autentici viaggi a metà tra il lisergico e il sinfonico.

Nonostante le registrazioni siano prese da diverse location nell’arco di diversi tour, alla fine l’insieme è nel complesso omogeneo e se nella versione definiva saranno eliminati quei fastidiosi stacchi di mezzo secondo tra una traccia e l’altra, l’illusione di assistere ad unico show apparirà più che plausibile.

Con un solo cd a disposizione e l’abitudine dei nostri di dilatare a piacimento le esecuzioni (già in versione studio si lasciano andare non poco) è logico che non ci siano molti pezzi in scaletta e che in grandissima parte siano provenienti dagli ultimi due dischi. Non saranno magari contenti i completisti ma è innegabile che il gruppo abbia iniziato davvero ad affilare le proprie armi a partire da “Lost in The Dream”, nonostante non si possa certo dire male dei primi lavori. Ben vengano dunque i dodici minuti di “Under The Pressure”, una lunga cavalcata che da sola rappresenta la summa della loro proposta musicale; oppure l’iniziale “An Ocean Between The Waves”, con l’incalzare della ritmica a fare da contraltare alla dolcezza della melodia. O ancora, la confessione a cuore aperto di “Pain”, che era già stata una delle canzoni su cui l’ultimo disco trovava la sua consistenza. C’è un modo quasi anacronistico in cui le chitarre si lanciano in lunghi assoli al termine dei ritornelli, sono anacronistici e spesso telefonati gli inserti di Sax, le linee vocali a tratti possono apparire ripetitive… insomma nelle canzoni dei War On Drugs la bellezza non è un qualcosa di dimostrabile matematicamente (del resto, quando mai lo è?) né è frutto di chissà quale sperimentazione stilistica. Le canzoni di Adam Granduciel sono vecchie come il tempo e vere come le promesse di chi ci ama, proprio per questo funzionano e commuovono nel profondo.

Non è un caso, dunque, se la loro versione di “Accidentally Like a Martyr”, che proviene da uno dei più bei dischi di Warren Zevon, “Excitable Boy”, sembra una canzone loro. L’originale è del 1978, Adam e compagni l’avevano già incisa per una Spotify Session di qualche anno fa, oggi la ripropongono qui e la coerenza col resto del repertorio è incredibile.

Stupisce anche vedere come funzioni bene “Buenos Aires Beach”, una delle primissime composizioni della band, dall’esordio “Wagonwheel Blues”, cresciuta e maturata fino al punto da riuscire a guardare il repertorio più recente a testa alta.

Un gran bel disco, dunque, ideale anche per chi volesse avvicinarsi a questa band per la prima volta e in un certo senso anche utile a rispondere alle critiche di coloro che hanno sempre considerato le loro esecuzioni un po’ troppo fredde ed eccessivamente fedeli ai dischi. C’è grande precisione, perizia e pulizia, certo, tutto è studiato nei minimi dettagli e non c’è spazio per l’improvvisazione, neppure quando sembrerebbe tutto il contrario. Nonostante questo, brani come “Red Eyes”, “Strangest Thing”, “Eyes To The Wind” o la già citata “Under The Pressure” non sono mere copie delle versioni in studio ma mettono in evidenza come, pur senza essere stato stravolto, ogni singolo brano sia stato riletto e ripensato.

Riprenderanno i concerti e riuscirò ad andare a vederli, prima o poi. Nel frattempo “Live Drugs” sparato a palla sembrerebbe il modo migliore per consolarsi.


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