Chiamatelo bluesman sopraffino o axeman elegante, Robben Ford è comunque universalmente riconosciuto come un maestro della chitarra. Dal lontano 1976, anno del suo debutto discografico con l'ormai introvabile Schizophonic, il menestrello dal sangue pellerossa ci delizia con la sua particolare visione di blues in chiave contemporanea, a volte rivisto in chiave pop (è il caso del successo planetario di Talk To Your Daughter), altre affrontato in trio con un piglio decisamente fusion (Mystic Mile, nel caso in cui la fusion sia mai realmente esistita...). Per chi scrive, ma questo in fin dei conti non è così importante, lo zenit è rintracciabile in Truth, lavoro del 2007 in cui tutti gli elementi sono fusi in un amalgama perfetto e dove, finalmente, esce fuori il Ford anche songwriter.
Stasera il buon Robben suona a meno di un chilometro da casa mia, qui a Bologna. Dal vivo è il nostro terzo "incontro". Il primo, lontanissimo nel tempo, è datato 1999, a sostegno dell'album Supernatural, nella cornice esaltante del San Severino Blues, nel cuore delle Marche. In quella occasione ebbi la sensazione prepotente di trovarmi di fronte ad un alieno, un musicista consapevole del proprio mezzo (la chitarra) e del proprio potenziale, erede di una grande tradizione di bluesman eppure dannatamente moderno, con una sensibilità musicale subito riconoscibile. Fu strepitoso e divenni immediatamente un suo fan. Erano, quelli, gli anni del blues elettrico, delle scorribande sulla tastiera e del successo planetario.
La seconda occasione fu sempre nella cornice del San Severino Blues, edizione 2007, nel famoso tour con Larry Carlton. Musica per palati fini, si dice in questi casi, ed in effetti il duo propose un set di jazz puro nel quale due stili diametralmente opposti, più rotondo Carlton, più spigoloso Ford, si fondevano in una magia.
Ed eccomi qui, 19 anni dopo la mia prima volta, seduto sulla poltroncina numerata U1 del Teatro Auditorium Manzoni di Bologna ad attendere l'ormai quasi sessantasettenne californiano. Alle 21e15 in punto entra con discrezione sul palco, accompagnato da una formazione giovanissima composta dal batterista Derek Phillips, dalla bassista Ryan Madora e dal secondo chitarrista (!) Casey Wasner. Mai visto Ford accompagnato da un chitarrista ritmico, la scelta si rivela però azzeccata perché permette al buon Robben di dedicarsi con più concentrazione alla voce, che in questi anni ha evidentemente perfezionato. Così si parte subito con le nuove canzoni contenute in Purple House, il disco uscito pochissimi giorni fa ed anche il motivo di questo tour.
Il Ford songwriter è dunque ormai una certezza e la sua voce è pari a quella di un cantante professionista. Con questo connubio sciorina le nuove "Tangle With Ya" (funk sino al midollo), il blues dinoccolato di "What I Haven't Done" oppure il rock di "Bound for Glory". Sono brani ben costruiti e gli interventi solisti non sono più strabordanti come una volta; la sensazione è che, da qualche disco ormai, Ford sia più attento a costruire canzoni che a dare eco alla sua maestria. La sezione ritmica della band è pazzesca e Ryan Madora al basso rischia di prendersi il palco ancora più di Ford, tanta è la sua bravura al basso. Giustamente Robben spesso la lascia andare a briglia sciolta e gli assoli sono maestosi, con un suono grosso e pieno.
Volendo trovare il pelo nell'uovo, sono proprio i suoni a rovinare un po’ la festa. La chitarra di Ford in particolare, per tutto il concerto una Fender Esquire gialla, ha un suono acuto che manca di profondità ed essendo il volume particolarmente elevato a tratti disturba l'ascolto. Va anche detto che da sempre il talento del californiano è dimostrato dalla sua capacità di suonare quasi sempre pulito, ne sono dimostrazione le dinamiche pazzesche che riesce a mettere in gioco. Alla ritmica invece Casey Wasner, tra l'altro produttore di Purple House, ha suoni più equilibrati, anche se il suo ruolo è quello di accompagnare nel sottofondo e per lunghi tratti scompare.
Il playing di Ford è sempre in bilico tra il blues ed il jazz, la caratteristica che di fatto lo ha reso celebre e quella che mi ha sempre fatto impazzire. Nella serata i suoi brani famosi non ci sono, fatta eccezione per una "Indianola" dedicata a BB King interpretata in maniera vigorosa dalla band. Nel finale tira fuori dal cappello un blues di Charles Brown nel quale ci fa divertire e due standard blues quando viene richiamato dal pubblico sul palco.