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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
27/11/2019
Godspeed You! Black Emperor
Live Report, 18 novembre 2019, Milano, Magazzini Generali
“Ormai sono i locali ad attirare la gente, non più le band”. Questo il rassegnato commento di un amico, al mio racconto sconcertato su alcuni aspetti fastidiosi del concerto di lunedì sera. Che in fondo è il solito discorso che ai pochi che mi leggono abitualmente starà ormai uscendo dalle orecchie: il comportamento del pubblico ai concerti sta degenerando.

Ma se è senza dubbio vero che con certi artisti la situazione è peggiore che con altri, è altrettanto palese che la location faccia il suo: più normale aspettarsi che la gente ascolti in assoluto silenzio Apparat al Teatro Regio di Parma (come avevo constatato solo due giorni prima) piuttosto che ai Magazzini Generali, no?

Ecco, i Magazzini Generali. Locale storico di Milano, che vi ha visto suonare dozzine di band importanti, tra i pochi sopravvissuti all’estinzione di massa che negli ultimi anni ha colpito venue illustri come Rolling Stone, Rainbow, Propaganda, Salumeria della musica e molti altri. I Magazzini resistono ed in un periodo di vacche magre come questo va benissimo, ci mancherebbe. Diciamo però che chiunque organizzi concerti lì dentro dovrebbe fare qualche riflessione e magari decidere di non utilizzarlo alla sua capienza massima. Perché il punto è proprio questo: quando è pieno, il locale di via Ripamonti diventa letteralmente invivibile. Lungo e stretto, palco non altissimo, il bar posizionato proprio sulla zona di passaggio (che poi per me chi va a prendersi da bere mentre un gruppo sta suonando andrebbe messo in galera ma pazienza, ormai sapete come sono fatto), i bocchettoni del riscaldamento che sparano aria bollente a velocità assurda… insomma, non esattamente l’ideale per godersi un concerto; per di più di una band come questa, che necessita, se non di immersione totale, almeno di una certa partecipazione emotiva e mentale.

E qui arriviamo all’episodio incriminato: nell’impossibilità totale di vedere qualcosa dal fondo, mi posiziono sulla balconata in alto, che per fortuna a questo giro non è stata riservata a qualche fortunato possessore di braccialetto vip come in altre occasioni. Mi trovo uno spazio comodo, esattamente dietro il proiettore a bobine che il gruppo utilizza abitualmente durante i set. E qui, da quando la band inizia a suonare, succede un po’ di tutto: c’è un tizio con una tipa che palesemente non conosce il gruppo e non sa neppure perché sia finita lì, che la indottrina tutto il tempo con frasi improbabili, facendo avanti e indietro dal bar a prendere cocktail per lui e per lei (giuro che ne avranno presi tipo sei-sette a testa, evidentemente erano annacquati come pochi altrimenti sarebbero con tutta probabilità rovinati di sotto); c’è poi un gruppetto di persone che urlano tutto il tempo: “Bis!” e “Grandi!”, prima, dopo e durante i brani (che comunque, come saprete sono sempre pochissimi e lunghissimi) e che quando non gridano chiacchierano a voce altissima. Probabilmente sono gli stessi che il giorno dopo racconteranno agli amici che sono stati ad un concerto bellissimo. E via di questo passo, tra gente che filma per mezz’ora di fila e altri che provano a spostare le bobine allineate di fianco al proiettore, per cercare di avere una visuale più ampia (giuro, l’ho visto coi miei occhi, per fortuna che il tecnico non li ha beccati se no finiva male). Insomma, diciamo che se pensavo che i Godspeed You! Black Emperor fossero una band per nerd, mi sono dovuto amaramente ricredere. Oppure galeotto è stato il richiamo modaiolo del Linechek (a cui questa data era in qualche modo collegata, essendo il Canada la nazione ospite di questa edizione)? Preferisco non provare a rispondere.

Ad ogni modo, per non prestare il fianco all’accusa di aver parlato d’altro solo perché non sarei stato in grado di dire due parole sul concerto, facciamo che cambio argomento.

L’ensemble canadese, lo sapete tutti, non ha nulla di ordinario, neppure secondo quelli che sono i canoni del Post Rock. A partire dal monicker lunghissimo e astruso (che in realtà è poi “soltanto” il titolo di un film-documentario di Mitsuo Yanagimachi, che racconta le gesta di una banda di motociclisti giapponesi chiamati appunto Black Emperors), c’è poi il riserbo totale rispetto alle loro figure (sappiamo chi sono ma si mostrano pochissimo, non rilasciano interviste, non si fanno fare foto e anche sul palco tendono a rimanere defilati, luci basse, con alcuni di loro che stanno tutto il tempo seduti), dischi dagli artwork affascinanti ma densi di messaggi sociopolitici, un aspetto visivo costantemente presente, nelle proiezioni analogiche di cui sopra, che nonostante il carattere sperimentale, evidenzia una chiara connotazione politica, una dimensione di protesta anticapitalistica e libertaria che appare consapevole e profondamente studiata.

Sul palco Mauro Pezzente, Efrim Menuck, Mike Moya, Aidan Girt, Bruce Cawdron, Thierry Amar, Roger Tellier-Craig e Sophie Trudeau sono un collettivo rodato e indissolubile, che comunica in modo quasi telepatico e che disegna visioni apocalittiche che si aprono talora a sprazzi di bellezza assoluta.

Le canzoni, dicevamo, sono lunghe: dopo l’apertura di “Hope Drone”, gli otto si lanciano in una larga porzione dell’ultimo disco “Luciferian Towers”, con “Bosses Hang”, “Fam/Famine” (impreziosita dal sax impazzito di Mette Rasmussen, la musicista norvegese che ha aperto il loro set) e “Undoing a Luciferian Towers”, che da sole costituiscono buona parte dello show. Sempre impressionante notare come giochino sulla ripetizione incessante degli accordi, come siano bravi a creare la tensione, facendola crescere fino all’eccesso in modo ossessivo, per poi liberarla improvvisamente tuffandosi nei luminosi temi portanti delle canzoni. Oppure di come si lancino in ruvide cavalcate, preparate sapientemente da un lavoro di crescendo, con le due batterie che creano un effetto ancora più dirompente.

Si può ascoltare con attenzione cercando di scorgere i loro movimenti, si può muovere la testa avanti e indietro rapiti dall’ondeggiare della sezione ritmica, ci si può far cullare dalle note lisergiche di violino, contrabbasso e chitarra e partire per un viaggio senza approdo alcuno. Dura quasi due ore e non è retorico dire che ne avremmo voluto di più.

Nel finale arriva, accolta dal boato del pubblico, “The Sad Mafioso”, che va avanti per venti minuti buoni, in un ultimo crescendo di emozioni fino a che, con un lungo ed ossessivo feedback in sottofondo, uno dopo l’altro abbandonano per terra il loro strumento e se ne vanno, non senza avere rivolto al pubblico un breve cenno di saluto.

Ci saranno stati anche spettatori molesti ma alla fine i Godspeed You! Black Emperor sono stati più forti di tutto questo. E aggiungiamo che, dopo i volumi ridicoli dell’estate scorsa al Magnolia, è stato un valore aggiunto esserceli goduti con una resa sonora adeguata.


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