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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
24/11/2021
Bobby Joe Long's Friendship Party
Live Report BJLFP, Bloom (Mezzago) - 20 novembre 2021
Finalmente i Bobby Joe Long's Friendship Party si sono decisi a suonare nel nord Italia e l'hanno fatto sabato sera al Bloom di Mezzago, con un live divertente, a ritmo serrato e di grande impatto. A voi il live report del nostro Luca Franceschini.

Da quando ha esordito con Roma Est, nell’aprile del 2016, l'oscura combo romana dei Bobby Joe Long's Friendship Party ha racimolato un seguito sempre più vasto, pur all'interno di numeri ancora da culto segreto, sia tra i nostalgici della New Wave, sia tra coloro che sono rimasti affascinati dall'immaginario evocato dal frontman e paroliere Henry Bowers (niente nomi veri, i nostri usano esclusivamente pseudonimi, in questo caso il riferimento è ad un noto personaggio del romanzo “It” di Stephen King), fatto di serial killer, periferie romane, film horror, elettronica anni ‘80, goal di Roberto Pruzzo, Smiths, recupero in chiave ironico-romantica di alcune importanti figure politiche italiane (su tutte Bettino Craxi, protagonista anche di una eccezionale maglietta che non ho potuto fare a meno di comprare al banchetto del merchandising dopo il concerto) e altre amenità varie; non c’è dubbio: indipendentemente dal contenuto musicale, la proposta del gruppo è ricca di suggestioni e di contenuti di spessore, a tratti scomoda ma imprescindibile per chi volesse allontanarsi dalla propria comfort zone. 

Dal vivo, per un motivo o per l'altro, non hanno mai suonato troppo, poi la scomparsa del chitarrista Abacab Carcosa, fondamentale tassello nella struttura musicale del gruppo, e la pandemia hanno fatto il resto. Anche sul fronte discografico sono stati abbastanza fermi: durante il lockdown era uscito il singolo “Antico Punk Inglese e lesa maestà”, che nel frattempo è diventato uno dei loro pezzi più popolari. Quella è stata anche l’ultima occasione in cui ci eravamo sentiti, un’intervista uscita qui su Loudd proprio per parlare di quel brano. Poi, a dicembre dello stesso anno, il divertente singolo “È una potenza di fuoco”, che campionava la celebre sparata dell'allora premier Giuseppe Conte, sui futuri finanziamenti stanziati dal governo per il recupero delle imprese italiane. Un altro brano, “Core de tenebra”, è uscito nello stesso giorno, poi più nulla. 

Oggi però, con una formazione parzialmente rinnovata e con il riaprirsi della possibilità di suonare dal vivo, le acque si sono mosse: nuove date e addirittura un nuovo disco in arrivo, almeno a giudicare da certi post su Instagram e dalla frase sibillina pronunciata da Henry Bowers poco prima di congedarsi dal pubblico: “A breve uscirà roba nuova”. 

Quel che conta, almeno per il sottoscritto, è che finalmente si siano decisi a suonare dalle parti di Milano. Al di là delle date nella loro Roma, se non vado errato non erano mai arrivati più in su di Bologna e per una band con già tre album all’attivo, la quota di attesa accumulata stava diventando davvero tanta. 

È il Bloom di Mezzago il candidato ad ospitare il loro primo concerto nel nord Italia: il club, famoso tra le altre cose per essere stata la sede di uno degli storici concerti dei Nirvana nel nostro paese all'epoca di Nevermind, non ha più una programmazione di eccellenza come anni fa ma adesso, con la chiusura di tante celebri venue milanesi, potrebbe pure tentare di ricandidarsi a protagonista delle future stagioni live. 

Staremo a vedere, anche perché il posto non è proprio comodissimo da raggiungere. Detto questo, colpisce vedere che l'affluenza è discreta, magari non quella che ci si aspetterebbe per un gruppo che non era mai venuto a suonare qui, ma anche da un certo punto di vista incoraggiante, se si considera che i concerti sono stati fermi quasi due anni e che solo nell'ultimo mese si è ricominciato a fruirne secondo le modalità solite. 

Soliti purtroppo sembrano ridiventati anche gli orari: sarà anche sabato sera ma vedere il gruppo di apertura cominciare abbondantemente dopo le 22, per me che ho ormai una certa età, non è stato incoraggiante. Meglio questo di un lockdown, comunque, non lamentiamoci troppo. 

I Marrano vengono da Rimini e hanno all'attivo due dischi: Gioventù spaccata, del 2017 e Perdere, uscito a marzo 2020. Suonano un rock bello robusto e a tratti “alternativo” (leggi, con influenze ben radicate negli anni ‘90), cantano in italiano e sul palco hanno decisamente un bel tiro. I pezzi non mi colpiscono però, non mi pare abbiano nulla che faccia davvero sussultare e si perdono nell'anonimato di una scrittura tutto sommato convenzionale. Non me ne vogliano i quattro, che comunque si sono impegnati, hanno spaccato e hanno riscosso pure un buon consenso da parte del pubblico; semplicemente, questa è una proposta che, a livello storico, a mio parere non ha più nulla da dire: se vuoi portarla avanti, devi avere davvero qualcosa in più. E quello, parlo per me, io purtroppo non l’ho visto. 

I Bobby Joe Long arrivano un pelo dopo le 23, sull'onda dei Synth prepotenti di “Rebibbia”, sostenuti dal boato di una fanbase non numerosissima ma molto rumorosa. Si parte con l'ormai celeberrima registrazione del discorso di Craxi alla Camera del 29 aprile del 1993, quello delle “grida spagnolesche”, espressione che viene puntualmente urlata dai presenti, prima che il gruppo si tuffi in “Dreaming Ambaradam”. 

Sul palco sono in quattro: i chitarristi Arthur Ciangretta e Romolo Tremolo e il nuovo bassista Ted Exploi, che ha preso recentemente il posto di Peter Spandau. Al posto della batteria c’è una drum machine e tutte le parti di Synth ed elettronica varia vengono mandate in base, tranne qualche sporadica linea di tastiera che viene invece suonata dal vivo. L'effetto è notevole: rispetto alle versioni in studio, il gruppo ha caricato molto di più i brani, rendendo le chitarre assolute protagoniste (tanti i fraseggi e gli assoli) e velocizzando molto alcune esecuzioni. Ne è scaturito uno show di grande impatto, a tratti quasi Punk, dove la componente “Coattowave”, come amano definirla loro, è un po’ passata in secondo piano rispetto ai riff granitici e al muro di suono delle distorsioni. È rimasto un certo gusto anni ‘80, soprattutto in un certo modo volutamente ruffiano di utilizzare la chitarra, comprese le pose studiate apposta per suscitare l'effetto parodico. 

Studiato è anche il look, con i tre musicisti che indossano inquietanti maschere argentate, come ad assomigliare a celebri assassini cinematografici come Leather 

Face o Michael Myers. Henry Bowers è invece vestito da Henry Bowers, ovvero occhiali scuri, capelli pettinati all'indietro e ingellati secondo la moda dei Sixties, maglietta e chiodo, al quale è stata buffamente applicata una coda, in modo da farlo assomigliare ad un frac. 

Set ricco di brani che vengono proposti a ritmo serrato, intervallati solo dai “Daje!” del cantante e dai successivi cenni a Ted Exploi a mandare in base il pezzo successivo. Scaletta nel complesso equilibrata, che va a pescare da tutti e tre i dischi e nella quale non è semplice trovare degli highlight, dato il livello altissimo del repertorio e le esecuzioni coinvolgenti e senza sbavature. 

Personalmente ho trovato eccezionali “Quintiliani Next Stop Vergeltungswaffen”, col suo incedere cupo e incalzante e il pubblico che scandisce in coro il ritornello e “Bundytismo”, col suo splendido riff portante. Tra i brani del primo disco è arrivata anche “Sesso coi morti (in una bara piena de topi”), anche questa rivisitata in chiave più pesante. E poi l'assalto frontale di “Aka Lawrence D'Arabia”, le atmosfere malate di “1984” e “Charles Starkweather”, la bordata di “#perlasovranitànazionale”, l'ironia di “Glu Glu Glu” e “Magno, bevo e tifo Roma”, oltre che una “Siderale bellezza upperclass” invocata già in precedenza dal pubblico, che a metà concerto, durante una pausa, ne aveva scandito l'inequivocabile ritornello “Voglio voglio voglio Eva Riccobono”. 

Il finale è rovente, col pubblico che è ormai caldo a dovere e si mette a far casino più che mai. Inevitabili “Antico Punk inglese e lesa maestà” e “Core de tenebra”, mentre “Vortice de totip”, il brano che li ha fatti conoscere, chiude idealmente il cerchio. 

“E questo è quanto.” si pronuncia laconico Henry Bowers, che non sembra però convincere i presenti, assolutamente non soddisfatti. “Il repertorio è finito - insiste - ve buttiamo una “troia morta” così al volo” e parte il vecchio classico “Ch'o una troia morta sotto il materasso”, altro brano surreale, denso di quel black humor e di quel pizzico di nonsense che me li ha fatti amare al primo ascolto. 

Sarebbe finita ma non se ne va nessuno. Dal mixer fanno segno che c’è tempo ancora per un brano ma evidentemente, nonostante da più parti vengano urlati titoli di pezzi che non sono stati suonati, le basi preparate erano davvero finite. Non rimane dunque che riproporre “#perlasovranitànazionale” e sembra che nessuno rimanga deluso. 

Li aspettavo al varco della prova live, dopo che è da inizio carriera che li seguo: prova superata in maniera eccellente, per quanto mi riguarda. Adesso c’è un nuovo disco in arrivo, può anche darsi che non passeranno altri cinque anni prima di rivederli.