Non è un segreto per nessuno.
Quando il 10 dicembre 2015, gli Urban Strangers arrivarono secondi alla finale di XFactor, dopo aver dominato i live precedenti, ho inveito in tredici lingue e maledetto il televoto aperto a tutti. Ma come poteva essere successo???
Li avevo seguiti fin dalle auditions quando si erano presentati con “No Church In The Wild” di Jay-Z e Kanye West. Dalle prime note avevo pensato che fosse il solito duo pop acustico sheeraniano – che per la cronaca mi piace assai – ma quando Alessio Iodice nel bel mezzo di un arpeggio inizia a rappare resto folgorata. La ritmica, le armonizzazioni perfette che crea con Gennaro Raia sono una folata d’aria fresca dopo un’ora passata a sentire cover di Katy Perry.
Sono passati tre anni, un EP e due album. L’EP, uscito dopo XFactor, è composto da 10 tracce, di cui 6 pezzi originali, tra cui “Runaway”, l’inedito portato in finale al talent, che porta i segni del loro percorso all’interno dello show. Infatti la matrice acustica di chitarra e voce insieme agli incisi rappati sposa l’elettronica con l’aggiunta di synth e drum machine. Stranamente questo cambio di stile e direzione musicale non sembra snaturarli. Un anno dopo esce “Detachment”: è il disco della crisi, come dichiarato da Alex e Genn, un disco i cui testi raccontano proprio di questo “scollamento” dalla realtà, la paura di non sapere chi sei e la solitudine. Un disco fortemente dominato dall’elettronica a volte un po’ a discapito della vocalità.
Con U.S, uscito il 7 settembre, gli Urban Strangers passano all’italiano dopo aver per anni sposato la lingua inglese come perfetta espressione del loro genere.
Ero incerta, lo ammetto, ma ciò che più mi ha convinta dopo un attento ascolto del disco è stato il live privato tenuto a Milano un paio di mesi fa.
Il Sampling Moods è un locale intimo che ricorda l’eccentrica sala di un open space newyorkese dove divani di pelle dal gusto retrò si sposano con sedie dal design moderno e un’insegna al neon si accende ad intermittenza dietro alla consolle del dj.
L’età media nel locale è tra i venti-venticinque anni, molti ragazzi indossano la t-shirt di Detachment – che indosso anche io, mentre scrivo questo pezzo. Tutti aspettano pazientemente l’uscita del duo campano.
Quando finalmente fanno capolino vengono accolti calorosamente. La timidezza che li accompagnava nelle loro prime esibizioni a XFactor sembra essere stata sostituita da una maggiore consapevolezza.
Chiacchierano con il pubblico, mentre accordano le chitarre e programmano la drum machine, che presentano come il loro batterista. Con loro sul palco il loro producer, Raffaele “Rufus” Ferrante, alla chitarra.
Iniziano con “Non andrò via”, ultimo singolo estratto dall’album. Lo raccontano, dicendo di come rappresenti il loro ritorno a casa, il rapporto con i genitori, le nuove responsabilità e la crescita. Ci accompagnano poi attraverso brani più pop, fino all’introspettiva “Sono io?” che esplora il cambiamento e il rapporto con gli altri, passando per “I sensi e le colpe” e la bellissima “Nel mio giorno migliore”.
Raccontano di come, nonostante il passaggio all’italiano, il loro stile sia rimasto lo stesso, e di come abbiano trovato nuovi stimoli per la scrittura dei testi.
Ci regalano poi un intermezzo funky con “Lasciare Andare” per poi tornare a brani come “Stronger” o il bellissimo inedito portato alle audizioni di XFactor “Last Part”.
Cambiano la scaletta, la evadono, fanno pezzi inediti che ancora non hanno inciso, fino a chiedere all’organizzatore di poter suonare ancora due canzoni tra cui una cover di “dRuGz” di Willow con un inciso di Kendrick Lamar.
Alex e Genn sono in tour per promuovere U.S. nei club italiani. Il loro percorso musicale è appena iniziato e trovo sempre ammirevole chi sceglie di stare nel suo e non cedere ai dettami dell’industria musicale e di non farsi schiacciare dal pesante fardello che chi ha deciso di calcare il palco di un talent show come XFactor porta con sé.
Dal vivo sono generosi ospiti, fossi in voi non me li perderei.