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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
07/07/2025
Jim Capaldi
Living on the Outside
Questa settimana grazie a Re-Loudd riviviamo la storia di “Living on the Outside”, un disco importante per capire l’evoluzione sonora dell’indimenticato Jim Capaldi.

«Ode al nostro “caro Mr. Fantasy”! Jim ci suonava le melodie magiche e mistiche che ci avrebbero fornito una vita di ispirazione, trasformando noi semplici mortali in dei, illuminati per sempre dall'eterno dono del “Traffic groove”. Grazie per tutto».

(Steven Van Zandt, estratto da Genesis Publications, nel decimo anniversario della scomparsa di Jim Capaldi)

 

Songwriter fantasioso e batterista impareggiabile, Jim Capaldi (1944-2005) si approccia al nuovo secolo con una ritrovata ispirazione e colmo di vitalità, come certificato dal brillante Living on the Outside, undicesimo album solista ricco di ospiti e di belle canzoni. La pubblicazione del disco rompe un silenzio durato oltre un decennio (il bello ma altalenante Some Come Running è del 1988) interrotto solo dalle parentesi legate alla reunion con i Traffic, insieme al compagno di mille avventure Steve Winwood, e successivamente al progetto live con l’istrionico chitarrista Dave Mason, altro “trafficante” peraltro staccatosi da tanto tempo dallo storico gruppo.

 

It's a terrible obsession, trying to make it to the top
A man in your profession can't afford to be a flop
Gotta get yourself connected, get the mobile phone
You don't want to be rejected, you don't want to be alone

So you're living on the inside
The inside and all that money brings

But I'm living on the outside
The outside nobody pulls my strings

("Living on the Outside")

 

L’opera comincia subito forte sin dalle prime tre tracce, un trittico di brani che parlano il miglior slang dei Settanta, con le dovute attualizzazioni, strizzando dapprima l’occhio a Bob Dylan nella blueseggiante title song, quindi a Bruce Springsteen nella successiva Standing in My Light”, per concludersi nel perfetto pop beatlesiano con sfumature latineggianti di “Anna Julia”, riscrittura di un pezzo della band Los Hermanos, non per caso scelto come singolo di lancio, vista la passione per il mondo carioca. La moglie di Jim, infatti, è nata in Brasile, e da metà Settanta la coppia vi ha soggiornato per lungo tempo.

Una partenza ruggente, sospinta anche dalla partecipazione di alcuni amici del calibro di Paul Weller, da sempre suo grande ammiratore, George Harrison e Ian Paice. Segue un intelligente e brusco cambio di rotta, gli anni zero consentono infatti di reinventarsi e modellare le sonorità verso qualcosa di diverso. Così, dopo un inizio molto convincente, tuttavia abbastanza prevedibile, arrivano “Time Passes” e “We’re Not Alone” e questa diversa atmosfera conduce fino alle conclusive “One Man Mission” e “Good Lovin”, regalando nuove emozioni e sonorità ammiccanti al power pop degli eighties e alle rock ballad dei nineties.

Il tema dell’album si trasforma in un riuscito mix di magniloquenti sonorità sintetizzate (in “Riding on the Storm” Capaldi si cimenta pure al sequencer coadiuvato da Winwood al synth) con arrangiamenti orchestrali fuori dall’ordinario (“Heart of Stone”, pilotata dalla chitarra solista del grande Gary Moore).

 

You won't find another heart that's as true as mine
It's everywhere now, baby, don't be blind
Oh, oh, love you 'til the day I die

("Love You ‘Til the Day I Die")

 

La fusione di antico e moderno, saggiamente architettata per evidenziarne la dicotomia ma al tempo stesso sottolineare la possibile complementarietà, si esprime al meglio in “Love You ‘Til the Day I Die”, probabilmente il pezzo più rappresentativo, capace di fondere tutte le influenze dei decenni, con Jim al keyboard bass e agli archi.

Alla luce di queste riflessioni, Living on the Outside si dimostra un lavoro interessante per comprendere fino in fondo l’evoluzione sonora e compositiva di un artista a tutto tondo, eccelso batterista e percussionista, ma anche songwriter e polistrumentista. Capaldi ha influenzato più generazioni di musicisti, grazie ai suoi guizzi psichedelici nei Traffic e all’animosità progressive pop rock dei dischi solisti, dimostrandosi pure grande “animale da palcoscenico” ed eccellente collaboratore in sala d’incisione: rimangono leggendarie le sue comparsate al Rainbow Concert di Eric Clapton (1973), all’emozionante Concert for George (2002) e la partecipazione ad alcune sorprendenti session insieme agli amici Bob Marley e Carlos Santana. Indimenticabile.

 

«Pensando a te nel giorno del tuo compleanno. Eravamo amici d'infanzia e ci siamo avventurati nella musica e nella vita. Le tue canzoni e la tua amicizia mi fanno ancora sorridere. Ricordo come se fosse ieri i giorni in cui ci divertivamo come pazzi in una delle nostre prime band, gli Hellions. Tutto passa così in fretta». (Dalla pagina ufficiale di Dave Mason, 2 agosto 2018)