Nel filone dei film sentimentali, quelli che si definiscono mélo, Lo specchio della vita occupa un posto d'onore grazie alla capacità di Sirk nel dosare il lato sentimentale della vicenda con quello sociale, di impatto emotivo decisamente maggiore per il pubblico, affrontando con serietà temi ancora spinosi senza mai travalicare i confini della buona scrittura, aiutato in questo dalla sceneggiatura di Griffin e Scott; il film è un remake di un'altra pellicola omonima del 1934 che incorse in diversi problemi visti gli argomenti trattati in relazione all'anno di uscita, opera che arrivava in un'America che era ancora profondamente razzista (lo è anche oggi, certo) in maniera aperta e consuetudinaria. Al successo della pellicola contribuiscono anche le solide scelte di cast: Lana Turner è una diva già più che affermata, John Gavin ha ancora pochi film alle spalle ma è a un passo dal suo ruolo in Psycho di Alfred Hitchcock, Sandra Dee seppur giovanissima vantava già un Golden Globe e arrivava dal chiacchierato successo di Scandalo al sole di Delmer Daves, anche le altre due protagoniste femminili si difenderanno molto bene, tanto che sia Susan Kohner sia Juanita Moore arriveranno alla candidatura all'Oscar come non protagoniste.
Durante una giornata al mare Lora Meredith (Lana Turner) e sua figlia Susie fanno la conoscenza di Annie Johnson (Juanita Moore) e della figlia Sarah Jane, più o meno coetanea di Susie. Dopo una piccola disavventura le due madri fanno conoscenza: Annie è una donna di colore, il suo ex marito era di carnagione chiara e così è la sua bambina che nessuno indicherebbe mai come una bambina "di colore" o meglio "negra" come si usava a quei tempi. Il paese è ancora molto razzista e la bambina, quando è insieme alla madre, ancora subisce discriminazioni a causa dei pregiudizi di razza, tanto che fin da piccola è portata a nascondere quando può le sue vere origini. Visto il momento di difficoltà economica che sta attraversando Annie, Lora accetta di ospitare lei e Sarah Jane a casa sua, Annie si occuperà delle due bambine e della casa mentre Lora tenterà di far decollare la sua carriera da attrice, motivo per cui si è trasferita con la figlia a New York. Durante quella giornata in spiaggia Lora e le bambine conoscono anche un simpatico e affascinante fotografo, Steve Archer (John Gavid), che rimarrà da subito folgorato dalla grazia di Lora. L'interesse tra i due scocca e si protrarrà inespresso per anni a causa delle difficoltà di Lora di conciliare la vita sentimentale a quella professionale, il successo arriverà, il mondo dello spettacolo non sempre si rivelerà corretto, nel frattempo le due bambine crescono e diventano delle ragazze, Susie (Sandra Dee) patirà le assenze della madre mentre Sarah Jane diventerà una ribelle e non riuscirà mai ad accettare le sue origini e il colore della pelle di quella madre di cui si vergogna e che le ha sempre offerto un amore sconfinato e sacrifici continui.
Un grande melodramma, elegante, recitato in maniera perfetta da tutto il cast, una storia che ha i suoi momenti migliori legati al mancato riconoscimento da parte di Sarah Jane di tutti i sacrifici fatti per lei dalla madre, una donna dal cuore gigante, solo troppo tardi la ragazza si accorgerà quanto male la mancata accettazione delle sue origini avrà fatto a sua madre. Centrale la questione razziale nel rapporto tra madre e figlia e in quello di quest'ultima con la società alla quale nasconderà sistematicamente di essere figlia di una nera, vergognandosene fino a scappare di casa e dalla sua famiglia. L'altro tema è quello del successo nel mondo dello spettacolo che Lora, pur amando molto la figlia, ha per anni come primo e unico obiettivo incrinando nel profondo il rapporto con Susie che esternerà il suo malessere solo in età quasi adulta; si trascina per anni l'amore platonico tra Lora e Steve, anche questo ostacolato dalla carriera di lei. Douglas Sirk costruisce con maestria un crescendo emotivo che conflagrerà nella scena finale, sul cantato di Mahalia Jackson a calare il sipario sul dolore e sugli errori di una vita con un'interpretazione sentita di Trouble of the world. Giustamente considerato uno dei capolavori del mélo hollywoodiano Lo specchio della vita colpisce ancora oggi offrendo una narrazione fluida e coinvolgente nonostante l'età della pellicola e i centoventicinque minuti di durata e lasciando ad aleggiare nello spettatore non solo il puro dramma ma anche tutti i danni che conseguono da un approccio alla vita fatto di intolleranza e razzismo, purtroppo un tema sempre attuale.