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REVIEWSLE RECENSIONI
28/02/2018
Caroline Rose
Loner
Raramente la copertina di un disco riesce a restituire così fedelmente la personalità di un’artista. Con “Loner”, Caroline Rose prende le distanze dagli standard compositivi del songwriting e mette in musica temi scottanti con tutta la sua vivacità stilistica.

Non giungete a conclusioni affrettate all’organetto da surf e all’esecuzione del riff da primo anno di pianoforte che vi danno il benvenuto a “Loner”, il nuovo lavoro di Caroline Rose. L’album non è per nulla circoscritto a sonorità sixties, a parte qualche piccolo rimando ironico e dissacratorio, ed è molto meno elementare di come si presenta dalle prime battute. Al contrario, “Loner” è un disco fintamente trasandato e caotico che tradisce, anche nei momenti più lo-fi, intenzioni e personalità ben definite e ricercate.


La foto in tuta da ginnastica con un intero pacchetto di sigarette in bocca della copertina coglie il meglio della brillante songwriter statunitense del Vermont e del suo album, in cui trovano posto una serie di canzoni composte, arrangiate e persino suonate quasi interamente dalla cantante stessa ricche di trovate, di passione, di sarcasmo e di intelligenza.

Le tematiche sono quelle che scaturiscono dall’esperienza di essere donna ma fuori dagli stereotipi, a cui si unisce la capacità di raccontare le cose con una verve irriverente. Anche le sonorità, molto varie, riflettono lo stesso approccio. Caroline Rose - che dichiara di essersi ispirata tanto a Justin Bieber quanto al punk del 77 e non disdegna l’effetto distorsione sulla sua voce - si muove agevolmente dall’indie-rock, al garage e al pop con la massima fluidità, mettendo con perizia la musica al servizio dei messaggi trasmessi dalle sue liriche.

“Loner” è un album che convince brano dopo brano. Lasciati il Farfisa e gli arpeggi di chitarra con l’effetto tremolo tipicamente anni sessanta di “More of the Same”, una sorta di posata dichiarazione d’intenti, il disco prende il volo grazie a una strokesiana “Cry”, il cui ritornello ammiccante difficilmente vi abbandonerà anche solo dopo il primo ascolto. La successiva “Money” è un bizzarro surf-rock con testo quasi rappato, un brano corredato da un video esilarante, a cui segue “Jeannie Becomes a Mom”, un punto di vista alternativo di una gravidanza accidentale.

La parte pop di Caroline Rose emerge invece nella parentesi rosa e nei suoni di violino pizzicato di “Getting to me”, per poi virare subito al nero della cupezza interiore arricchita dalle incursioni minimal e dal cantato vagamente soul dell’esplicita “To Die Today”. Con la traccia successiva, “Loner” torna a movimentarsi. “Soul No. 5” e, soprattutto, il surf-punk femminista di “Bikini” (a quale prezzo alle donne con il due pezzi addosso si concede tutto) sono due stravaganti inviti a scendere in pista per ballare.

Caroline Rose riserva però le due canzoni più interessanti per il finale. “Talk”, la traccia 10, è forse il brano più appassionato dell’album e colpisce per l’incedere mid-tempo e il testo introspettivo, mentre “Animal”, il pezzo con cui si chiude il disco, parla di amore e gelosie e mostra il lato più maturo della cantante.

“Loner”, in definitiva, risulta un progetto originale di un’artista dalla forte personalità che sa come divertirsi con la sua arte, componendo e cantando. Caroline Rose si dimostra abile nel proporre tematiche importanti decontestualizzate in uno stile fintamente pop e nel farci conoscere la sua visione della società americana con un’ironia tagliente e un gusto sopraffino.