Cerca

logo
MAKING MOVIESAL CINEMA
Loro 2
Paolo Sorrentino
2018  (Universal Pictures)
DRAMMATICO
all MAKING MOVIES
16/05/2018
Paolo Sorrentino
Loro 2
Sì, l'ho detto: ci si stanca, le tante scene da videoclip annoiano, nonostante la cifra stilistica, lo sguardo che da sempre le usa e che da sempre ne fa godere cullati dall'ottima musica scelta –anche quando declinata al dancefloor-, dalla fotografia del solito eccelso Bigazzi.

Seconda parte, secondo tempo: Loro si mettono da parte.
Ora c'è solo Lui a riempire la scena, a cercare di tornare in scena, con pochi voti a dichiararlo sconfitto, 6 senatori a separarlo dal ritorno. Nel mentre, sempre Lei da conquistare, sempre feste, luccichii, farfalline con cui stuzzicarsi, che fanno da contorno, che fanno da sfondo. Ora che sembra arrivato, ora che nel circolo dei potenti sembra essere entrato usando ogni mezzo a disposizione, Sergio Morra non interessa più, ci ha portato a Silvio, ci ha mostrato l'appeal, l'ombra nera che stende Silvio pur dalla sua bassezza, e Sorrentino lo dimentica, lasciandoci in preda alle crisi esistenziali e morali di un uomo che deve fare i conti con la vecchiaia, con il non piacere più, con il tocco da venditore forse perso, forse no, di certo rivelato.
È la caduta di un mito quella a cui si assiste, la caduta di un mito vista dal mito stesso, con l'alito da nonno, con i modi affabulatori che alla politica italiana non piacciono più, con i favori, le veline, che allontanano una volta per tutte quella moglie cercata in mille copie.
In questa seconda parte, in questo secondo tempo, ci sono momenti altissimi, ci sono monologhi al telefono che fanno godere davvero, ci sono confronti sull'età che fanno rabbrividire, ci sono urla in cucina come la più classica delle coppie pronta a scoppiare, dove la verità verrà a galla solo da una parte, ci sono battute e freddure, momenti metaforici a chiudere il tutto che fanno la gioia di chi Sorrentino lo apprezza per la sceneggiatura, per le metafore, per i giri del suo stile.
Ma, ovviamente, c'è anche l'altro Sorrentino con cui fare i conti, quello che della storia se ne frega, che inquadra momenti e situazioni, e così si va di scena in scena, di musica in musica, di balletto sexy in balletto sexy, e qualcosa inizia a scricchiolare.
Sì, l'ho detto: ci si stanca, le tante scene da videoclip annoiano, nonostante la cifra stilistica, lo sguardo che da sempre le usa e che da sempre ne fa godere cullati dall'ottima musica scelta –anche quando declinata al dancefloor-, dalla fotografia del solito eccelso Bigazzi.

Il problema potrebbe essere solo nella lunghezza del progetto tutto, forse nella ripetitività di questi momenti, con le solite sgallettate a mostrarsi e svelarsi, forse, in realtà, è Lui che poco può interessare, poco può coinvolgere.
È il progetto nel suo insieme, quindi, a lasciarmi perplessa, il ritratto di un uomo e di una situazione politica forse prematuro, forse semplicemente lontano dai miei gusti. Perché c'era umanità nel Jep Gambardella de La Grande Bellezza, nel re delle feste, c'era tanta nostalgia nel compositore Fred di The Youth, e tanta malinconia in un Giovane Papa. In Silvio, in un Silvio per quanto a suo modo depresso, a suo modo allo sbando, si fatica a scavare dietro la maschera, dietro il cerone che copre e deforma Servillo, a cui ruba la scena spesso e volentieri un'incredibile Elena Sofia Ricci e il bel Riccardo Scamarcio, che un cuore, alla fine, dimostra di averlo. E spezzato.
Si insiste, però, e a lungo, si mostra la solitudine in mezzo alla folla, l'unico rifiuto a contare più di cento sì, l'ego colpito e ferito, ma di questa caduta non si gode, di questo arresto non si prova pena. Resta un personaggio che Sorrentino ha umanizzato, ma non abbastanza da arrivare al mio cuore come sperato. L'impresa in fondo era ardua, fin sulla carta.