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REVIEWSLE RECENSIONI
Lotta Sea Lice
Courtney Barnett & Kurt Vile
2017  (Marathon Artists)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS
6,5/10
all REVIEWS
07/11/2017
Courtney Barnett & Kurt Vile
Lotta Sea Lice
Qualcuno l'ha definito un disco nostalgico ma io credo semplicemente che si tratti di un omaggio spontaneo, di un’estetica che i due hanno pienamente appiccicata addosso

Fa strano, in questo mondo del rock indipendente, sempre con un carattere per così dire di nicchia, che un disco possa essere annunciato, atteso e chiacchierato come questo. Eppure è normale, se ci pensiamo: Kurt Vile è un musicista e un autore affermato ormai da diversi anni, mentre Courtney Barnett ha sorpreso tutti due anni fa, con un disco fresco e brillante, figlio di una scrittura sincera, capace di raccontare con pochi tratti l’essenza del vissuto quotidiano.

Che i due unissero le forze e decidessero di fare un disco insieme è una notizia che ci ha colti impreparati solo fino a un certo punto: il terreno su cui si muovono è quasi lo stesso, i punti di riferimento condivisi sono senza dubbio più di uno.

Ecco così arrivare “Lotta Sea Lice”, preceduto dal singolo “Over Everything” e relativo video, divertente quadretto da periferia australiana, con i nostri che per un grottesco scherzo di montaggio cantano l’uno con la voce dell’altro. Il brano era buono, melodicamente e ritmicamente coinvolgente. Ci si aspettavano grandi cose dal prodotto completo ma la verità è che siamo rimasti un po' delusi.

Se ho aspettato tanto a scrivere questa recensione è perché ho voluto dare a questo disco ripetute chance di mettere a nudo la sua anima. È accaduto solo a sprazzi, purtroppo.

Il disco dura circa 45 minuti ma i pezzi sono solo nove: questo, a mio parere, è già il primo problema. Episodi semplici, lineari, come da tradizione nella quale si muovono, allungati a dismisura da code infinite e ripetitive e con un numero di strofe a volte francamente eccessivo. Desiderio di allungare la minestra? Non credo. I due sono amici, si stimano reciprocamente e tutto il disco ha il sapore di una lunga Jam un po' alcolica e un po' fumata, dove il divertimento e lo scazzo generale la fanno da padroni, in un clima di simpatica indolenza dove il termine “Slacker” non risulta affatto fuori luogo.

Tutto molto ben suonato (c'è anche Stella Mozgawa alla batteria, garanzia assoluta e bravissima nell’impreziosire brani come “Let It Go” con le sue ritmiche intricate), una produzione nitida e pulita, che fa risaltare tutta la carica spontanea di questa performance in studio.

Detto questo, quello che manca, alla lunga, sono proprio i brani. Sarà che io Kurt Vile non l’ho mai digerito più di tanto e che si sente molto del suo zampino nel songwriting; sarà che la pigrizia con cui certi pezzi si trascinano suscita un bel po’ di sbadigli, sta di fatto che, fatta eccezione per la già citata opener “Over Everything”, la conclusiva “Untogether”, ballata melanconica abbastanza scura dove la Barnett sale finalmente in cattedra e una “Fear is Like a Forest” dove aleggia lo spettro di Neil Young (e che è in realtà la cover di un brano di Jen Cloher), il resto suona gradevole ma pericolosamente superfluo. Ripensandoci, risulta interessante la rilettura Barnettiana di “Peepin’ Tom”, uno dei cavalli di battaglia di Kurt Vile, che me l'ha resa migliore dell’originale.

Per il resto, c'è tanto Country Folk e tanto “Spirit of ’90” ad aleggiare nell’aria: qualcuno l'ha definito un disco nostalgico ma io credo semplicemente che si tratti di un omaggio spontaneo, di un’estetica che i due hanno pienamente appiccicata addosso.

Rimane dunque un buon lavoro da ascoltare senza pretese, magari con la speranza di vederli dal vivo, dove senza dubbio sapranno rendere il tutto più interessante. Per il resto, almeno per quanto mi riguarda, credo sarà meglio attendere i futuri rispettivi sforzi in studio.