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REVIEWSLE RECENSIONI
09/04/2019
Julian Lage
Love Hurts
Alla fine, una bella dieta è quello che ci vorrebbe. Lo vorrei dire a quei due pischellini, presumo fratello e sorella, che mi osservano con sguardo spento mentre si ingozzano in un mix tossico di merendine ad alto tasso chimico, coca cola e patatine fritte.

Del resto, basterebbe guardare la mamma lì vicino per capire che quei due sventurati non avranno speranza alcuna. Se il livello del cibo che ingurgitano è quello, tale da renderli dei futuri soggetti a rischio cardiovascolare, posso immaginarmi quello che la madre farà ascoltare loro: diete a base di “Despacito” e tutto il caravanserraglio latin e reggaeton che riecheggia dalle spiagge del belpaese.

Ma cosa cazzo c’entra questo con il nuovo album del chitarrista jazz Julian Lage, “Love Hurts”? C’entra eccome! Mi verrebbe voglia di prendere quella famigliola e tutti quelli che si nutrono di schifezze musicali e di chiuderli a chiave in una stanza e fargli fare una cura a base di questo disco.

Così imparerebbero un po’ delle migliori composizioni del songbook americano. Pensate: in un solo disco avrebbero a che fare con Ornette Coleman, Jimmy Giuffrè, Keith Jarrett ma anche con Roy Orbison e gli Everly Brothers.

Così mentre partono le prime note di “In Heaven”, pezzo di un blues nero come la notte senza luna suonato con divina maestria da Lange e tratto dal film Ereaserhead di David Lynch, potremmo chiedere loro se sono a conoscenza che quel pezzo ha avuto altri interpreti illustri quali i Pixies, i Devo, i Bauhaus e i Tuxedomoon; pia illusione la mia, mica è il tormentone di una réclame di qualche compagnia telefonica.

Dal blues si ondeggia poi in territori free con “Tomorrow Is The Question” di Ornette Coleman per passare poi al lirismo di Keith Jarrett in “The Windup”. Troppa roba per la famigliola? Beh, probabilmente si chiederanno se sia possibile che esista altra musica al di fuori dei tormentoni da classifica. Diamo loro una tregua con “Love Hurts”, sì proprio il brano portato al successo dagli Everly Brothers prima e da Roy Orbison poi. Orbison che ritroviamo poi in chiusura del disco con una bellissima versione di “Crying”.

La voce di Lage, dove per voce si intende quello che riesce a tirar fuori con le sue dita dalle corde della chitarra, è quanto mai centrata non soltanto per quanto riguarda la tecnica ma vieppiù come espressività, tenendosi ben lontano da virtuosismi circensi. Lavora in trio, Lage, come nel precedente lavoro, questa volta sono Jorge Roeder al basso e Dave King alla batteria i compari che hanno sostituito Scott Coley e Kenny Wollesen presenti in “Modern Lore”, album uscito nel 2018.

Le note che fuoriescono da “Love Hurts” sono come dei quadri appesi in una stanza vuota, ogni canzone definisce il senso estetico di chi si approccia all’ascolto, come quando un visitatore di una galleria d’arte si trova davanti ad una tela. Senso estetico che ahimè la nostra famigliola ha smarrito dentro ad un sacchetto di patatine fritte e bisunte e nonostante tutti i tentativi che possiamo fare, non servirà neppure un pregevole disco come questo a farla uscir fuori.

E dalle cuffiette della mamma fuoriesce “Un dos tres un pasito bailando, Maria..”