Lump è un grumo di bellezza. Una massa di materia sonora di appena sei canzoni (più i credits finali musicati) tenute insieme da un involucro che è la somma di due anime. Un disco che ha altri numeri, oltre alla mera statistica, perché figlio naturale di una collaborazione artistica altrettanto genuina, in grado di ridefinire i parametri della folktronica. O forse Lump è il nome di quella specie di creatura selvaggia che occupa la copertina di un disco che si chiama allo stesso modo e che muove la sua folta pelliccia nel video del singolo “Curse of the Contemporary”, il brano che ne ha preceduto la pubblicazione.
Un po’ tutto questo, Lump è però anche un fortunato connubio nato casualmente. La cantautrice britannica Laura Marling apre un concerto di Neil Young a Londra a giugno 2016 a cui assiste tra il pubblico anche Mike Lindsay, musicista e produttore già in forza ai Tunng. Qualcuno, dopo lo show, li presenta, il tempo di confessarsi la reciproca stima e il resto è facile da intuire, ascoltando le tracce del loro primo lavoro uscito per Dead Oceans.
Due mondi che non si scontrano affatto, Laura e Mike sembrano piuttosto due pianeti che giocano rincorrendosi lungo due orbite perfettamente sincrone. Un continuo scoprirsi reciproco in cui i suoni elettronici e diversamente acustici del folk sperimentale di Lindsay mettono in risalto la bellezza e l’originalità del timbro e dei testi dell’autrice inglese, gli stessi fattori che hanno contribuito all’assegnazione di un Brit Awards come miglior artista femminile britannica nel 2011. Un mix tra Joni Mitchell, Kate Bush e, per i più giovani, l’ottima Regina Spektor.
Il nucleo centrale di “Lump” è senza dubbio il già citato “Curse of the Contemporary”, uno di quei brani che hanno tutte le carte in regola per diventare una vera hit ma che, proveniendo dalla nicchia, dovrà attendere il dj di turno e il conseguente efficace remix in grado di spalancare al duo inglese le porte dell’industria pubblicitaria, come è successo per “I Follow Rivers” di Lykke Li qualche anno fa, ricordate?
Ciò non toglie che il resto dell’album non sia superlativo. “Late to the Flight”, il brano di apertura, è la natura che si risveglia in una dimensione in cui esistono solo la voce incorporea di Laura Marling e la sua conversazione con gli strumenti acustici che lentamente (e senza tempo) si sommano e si separano lungo onde sublimi. L’indole elettronica di Mike Lindsay si manifesta immediatamente dopo con “May I Be the Light”, una cantilena costruita su una techno immaginaria - la cassa potete figurarvela come preferite: anche se assente, viene comunque da muovere la testa - e, per di più, in cinque quarti. La sequenza di synth che si snoda lungo tutto il brano esonda persino nella composizione successiva “Rolling Thunder”, in cui la linea melodica incontra qualche grado blues, rendendo la voce più grave e sensuale.
Con “Hand Hold Hero” ritornano alcune linee guida folk ma completamente destrutturate (alla Tunng, giusto per intenderci), lungo un’interminabile catena di rumori e sintetizzatori per un brano che non sfigurerebbe come secondo singolo. Chiude l’album la bellissima “Shake you Shelter”, forse l’unico pezzo dell’album con un forma-canzone più tradizionale e una parvenza di normalità strutturale. Qui Laura Marling canta divinamente su una base di una lentezza straordinaria e sui suoi cori stessi, per un risultato che ha un fascino senza confronti.
In sintesi, se siete rimasti colpiti, come me, dal video di “Curse of the Contemporary”, originale quanto la musica su cui si basa, non resterete delusi dal progetto “Lump”. Un disco di cui è facile apprezzare la modernità, se siete in cerca di sperimentazioni, e la tradizione folk, se invece amate le voci diafane sulla musica rarefatta per chiudere gli occhi e perdervi altrove.