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L’uomo che visse zero volte
Ilja Ilic
2025  (Oneiric Productions)
LIBRI E ALTRE STORIE
all THE BOOKSTORE
09/06/2025
Ilja Ilic
L’uomo che visse zero volte
L’uomo che visse zero volte è un romanzo divertente, irriverente, a tratti cinico, frutto di questo presente in cui, purtroppo, nonostante le buone intenzioni, risulta sempre più difficile riuscire a mettere da parte la propria misantropia e aprirsi ai propri simili, perché, diciamoci la verità, non sempre si ha voglia di scendere a compromessi e appiattirsi su un modus vivendi che non ci appartiene.

“Però a volte mi interrogavo su questo mio stato d’animo. Cercavo di sembrare intelligente, forse? Era da intelligenti odiare tutti? O cercavo di farmi odiare? Era da intelligenti, forse, cercare di farsi odiare da tutti? E riuscirci? Il punto era che, nel dubbio, come per la giustizia una persona è innocente fintanto che non si provi il contrario, credevo che le persone fossero a priori detestabili. Fintanto che non riuscivano a provarmi il contrario”.

 

L’uomo che visse zero volte è il primo progetto letterario della Oneiric Productions, casa di produzione audio e video. Del suo autore, Ilja Ilic, si sa pochissimo, se non che è nato nel 1979 a Bologna e che è la voce degli Oblomov, duo di origine italo/russa che ha dato vita a un progetto artistico/musicale decisamente sui generis. La loro dimensione è quella della musica onirica e i loro anti-concerti vedono il palco trasformarsi in un salotto-teatro animato da televisioni, proiezioni e performance imprevedibili.

Anche questo romanzo rispecchia fedelmente quello che è il piglio anticonformista e originale del suo autore. Quando mi sono ritrovata tra le mani il libro di Ilja, non appena ho sollevato la copertina, è saltato fuori un cartoncino-segnalibro con su la ricetta tradizionale delle tagliatelle al ragù. Devo ammettere che sono rimasta del tutto spiazzata, e ho sorriso, non solo perché è uno dei miei piatti preferiti, ma perché ho capito che non sarebbe stata la solita lettura…

 

Siamo a Bologna e il protagonista, Dimitri, è un quarantenne ormai disilluso. È uno che odia tutto e tutti, la polemica come stile di vita e la misantropia e l’indolenza cucite addosso, come fossero una seconda pelle. Convive con suo fratello Andrei e con la giovane e bellissima Marie, una studentessa haitiana, a cui hanno affittato una stanza del loro appartamento. Lei è l’unica che non lo irrita e con cui riesce ad avere un rapporto sereno e sincero, non solo perché è bella, ma perché è obiettivamente diversa da tutti gli altri: fresca, genuina, sincera, un essere umano non disumano, amante della filosofia e della cucina italiana, di cui si diletta a provare tutte le ricette tradizionali.

“Non trovi che gli esseri umani siano davvero unici, nel panorama di questo pianeta? Sono i soli a soffrire di disumanità, una condizione che sembra negarne la natura iniziale. Hai mai sentito parlare di orso disorso? O di gatto disgatto? Cazzo, non esistono nemmeno le parole per dirlo. Non è previsto dalla natura, esistono solo gli umani disumani.”

E sono proprio le mattinate trascorse con Marie l’appuntamento quotidiano di Dimitri con la vita, sono quelli i momenti che ama di più, perché è allora che riesce a mettere da parte il suo disagio perenne: si alza presto, pur non essendo mattiniero e la guarda esercitarsi ai fornelli mentre è intenta a riprodurre piatti davvero improponibili per l’ora di colazione, che lui, però, assaggia senza battere ciglio, chiacchiera con lei e quando esce di casa per andare in facoltà, se ne ritorna un altro poco a letto.

Per il resto, sembra trascinarsi all’interno di giornate tutte uguali, criticando il genere umano e gestendo, a tempo perso, un negozio di cianfrusaglie, il Tarlo Magno, che apre se e quando ne ha voglia.

L’incontro con Manolo e l’arrivo di una nuova coppia di vicini, però, porterà scompiglio nella sua già traballante esistenza. Un omicidio e un mistero da risolvere saranno l’inizio di un circolo vizioso di fraintendimenti, al limite del paradossale, che pongono Dimitri davanti a scelte difficili e inaspettate, da cui dipende tutto il suo futuro e anche la sua libertà.

 

L’uomo che visse zero volte è un romanzo sopra le righe, ironico, divertente, a tratti surreale, che apre a molte riflessioni e in cui non c’è alcuna traccia, grazie a Dio, del politicamente corretto. Dentro ciascuno di noi c’è un Dimitri, in particolare dentro quelli più sensibili, i sognatori, i “disadattati”, quelli che, seppur disillusi e all’apparenza cinici e ormai “fermi”, perché stanchi di lottare, continuano ancora a sperare che un cambiamento sia possibile. Che ci sia ancora spazio per un’umanità degna di questo nome e che davvero la bellezza, un giorno, salverà il mondo.

Dimitri, in fondo, è solo un uomo ferito e arrabbiato, un uomo che ha visto sgretolarsi, giorno dopo giorno, tutti gli ideali e i valori in cui credeva. La sua, se vogliamo, è una forma di invalidità civile, che non riguarda il corpo, ma bensì il cuore e la mente. E se cuore e mente sono feriti, riuscire a vivere con (e come) gli altri diventa sempre più difficile, quasi impossibile.

L’istinto è quello di isolarsi e di guardare i propri simili con distacco e disgusto, come se fossero loro la causa del nostro malessere. Come se fossero complici e conniventi dello squallore e del degrado che ci circonda. E in molti casi, ahimè, è proprio così, perché è innegabile che maleducazione, arroganza, ignoranza, violenza, smania di successo a tutti i costi e vuoto abbiano preso il sopravvento, spingendoci sempre più verso il ciglio di un burrone.

Dimitri è sincero, talmente sincero che sembra affetto da incontinenza verbale, non usa filtri, va dritto come un treno e dice sempre ciò che pensa, ecco perché o lo si odia o lo si ama. La sua, in fondo, è solo una difesa. È il suo modo di proteggersi e di provare a cercare, tra tanti, quelli che sente più affini, più vicini, non tanto a ciò che è lui, ma al suo modo di intendere la vita e di guardare alle cose.

 

Date una chance a questo romanzo e al suo protagonista e vedrete che vi stupirà, perché, nonostante tutto, finché c’è vita, c’è speranza, anche e soprattutto per i sogni più grandi, belli e inaspettati.

“Non è che io non venissi bene in foto, io non venivo bene nella vita. Né foto-genico, né mondo-genico.”