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REVIEWSLE RECENSIONI
24/03/2021
Madame
Madame
Quanto hype può essere generato dal disco d’esordio di un’artista come Madame? E quanto è giusto accostarsi ad un disco, e magari anche misurarlo, a partire dall’hype che lo circonda? È un discorso complesso ma difficilmente possiamo ignorarlo.

Da quando nel settembre 2018 ha debuttato col suo primo singolo Francesca Calearo, che all’epoca aveva appena 16 anni, non ha più smesso di raccogliere consensi. Che fosse la vocalità straordinaria, la sorprendente commistione di maturità ed irriverenza nei testi, la veste sonora curatissima, la partenza dall’Hip Pop per poi muoversi in direzioni molteplici, l’artista vicentina è divenuta quasi subito un punto di riferimento imprescindibile della scena Urban italiana, è apparsa nei brani di tanti grandi, da Marracash a Mecna, da MACE a Night Skinny, e per finire è approdata a Sanremo, caso credo unico di artista in gara tra i Big senza avere ancora un disco all’attivo.

Al debut album ci arriva così dopo tre anni e mezzo intensissimi, un tempo così lungo senza dubbio per lo strapotere che lo streaming e di conseguenza il formato dei singoli ha ormai acquisito nelle dinamiche della discografia.

Difficile dunque rimanere lucidi ed obiettivi di fronte ad un lavoro che rischia di essere irrimediabilmente schiacciato dalle aspettative. Madame dal canto suo ha talento, è già in possesso di una certa dose di mestiere ed è immersa in un ambiente (tra Sugar e Paola Zukar) che sa perfettamente gestire certe pressioni.

Il risultato è un lavoro ottimamente confezionato ma anche molto furbo, che abbraccia un orizzonte sonoro e stilistico più ampio di quello dei primi singoli, e che cerca di districarsi tra la doppia esigenza di accontentare la fan base legata al Rap e di conquistare estimatori presso il publico più vicino al Pop.

Ma alla fin fine è normale, sono due mondi che si incontrano, i confini sono sempre più sfumati, forse più per opportunismo che per reale convinzione (che cos’altro avrebbe spinto altrimenti i Negramaro a registrare un brano con lei?) e probabilmente quindi certe analisi sono destinate a lasciare il tempo che trovano.

“Madame” ha una prima chiave interpretativa che ruota attorno ai singoli già noti: il lato più esplicitamente Pop cantautorale del brano sanremese, scrittura e produzione affidata a Dardust, forza melodica indiscussa e prestazione vocale maiuscola, a fungere da biglietto da visita di quello che questa ragazza è in grado di combinare. “Il mio amico”, in compagnia di Fabri Fibra, che gioca con ritmi Funk, un flavour molto Nineties, un approccio melodico sempre bene in evidenza e una delle pochissime ad avere un mood apertamente solare, in un lavoro che al contrario privilegia le tinte scure. “Clito”, ideale ponte con brani come “17” e “Sciccherie”, testo volutamente provocatorio nelle immagini, suoni potenti e flow arrabbiato al punto giusto. E infine “Baby”, smaccato tributo alla Dance dei ’90, tamarra e su di giri, con Crookers e Nic Sarno a dar fuoco alle polveri dietro la consolle.

Poi c’è l’aspetto più malinconico, da confessione intima, racchiuso soprattutto nei brani che aprono e chiudono il disco, “Istinto” e “Vergogna”: sonorità minimali, feeling notturno e testi di disarmante sincerità, con la voce di Francesca che ha un tono dimesso, sposandosi meravigliosamente col lavoro di produzione di Crookers e BIAS. Quest’ultimo, tra l’altro, lavora con Madame sin dall’inizio, ha messo mano a quasi tutti i brani di questo disco (che è stato anche registrato nel suo studio) e i suoni che ha trovato sono davvero splendidi, uno dei principali punti di forza di questo lavoro.

C’è una bella fetta dell’album che va in questa direzione, con l’urgenza di spaccare il mondo tipica delle prime cose sostituita da una trasparenza nel raccontarsi che non ha timore di mostrare le proprie insicurezze. Da questo punto di vista “Mami Papi” è esemplare, oltre ad essere una delle più belle musicalmente, con quel ritornello in cassa dritta che stempera il carattere riflessivo delle strofe, esprime perfettamente tutto il grido di amore e verità che ogni figlio rivolge ai propri genitori (“Dimmi che l’amore esiste anche per me, dimmi che i porno non mi hanno rovinato il cervello, dimmi che vi siete amati quanto amate me, dimmi che un errore è sempre perdonabile”). Stessa cosa per “Bamboline boliviane”, vocalmente impeccabile, con ancora una volta BIAS al top della forma. O ancora, il freestyle di “Amiconi”, istantanea di un rapporto finito, altra confessione a cuore aperto (“Sembro apatica ma in fondo ho un’anima senza lo scudo, sarò nuda, sarò al buio ma sarò sempre al sicuro”) e un po’ di rammarico perché avremmo voluto altri momenti nel disco dove poter sentire un Flow così.

Su sedici pezzi totali, la metà sono corredati da feat, dinamica da sempre imprescindibile in questo genere e che qui fornisce un ulteriore elemento per la valutazione. Probabilmente è ai brani interpretati con altri artisti che è stata affidato gran parte del tentativo di “normalizzazione” della scrittura, con esiti a volte interessanti, a volte meno. Se infatti “Mood” (con Villabanks) e “Luna” (con Gaia, qui decisamente più in palla che nello slot sanremese) appaiono decisamente riuscite, altrettanto non si può dire di “Dimmi ora”, che nonostante le ottime strofe (ma Gué Pequeno è sempre una garanzia ed è qui particolarmente efficace in modalità crooning) scade su un ritornello troppo piatto e telefonato. “Babaganoush” è un esperimento interessante e immagino che sarà quella che farà più discutere: non solo per la presenza dei Pinguini Tattici Nucleari (Riccardo Zanotti ha anche scritto il brano, coadiuvato dal produttore Enrico Brun) ma anche perché musicalmente si discosta molto dal resto del lavoro, incentrata com’è su un mood orientaleggiante, un Pop gradevole ma a conti fatti piuttosto innocuo, piuttosto banale anche nel testo.

“Bugie” funziona meglio, con un Rkomi insolitamente melodico e Carl Brave che fa ottimamente il suo, per un brano che vira leggermente verso l’It Pop ma che anche qui fallisce la prova del ritornello. Non male “Tutti muoiono”, con un Blanco sopra le righe come suo solito ma nel complesso efficace.

Ci si poteva aspettare di più, certo, per certi versi bisogna ammettere che ci siamo entusiasmati molto di più per i suoi ultimi featuring, piuttosto che ora che si muove in un territorio tutto suo; è anche vero però che con tutto questo hype, era davvero impossibile accontentare tutti. Allo stesso tempo, c’è anche l’impressione che Francesca non sia riuscita del tutto ad imporre la sua visione e che certe scelte le siano state per forza di cose imposte. Niente di male, ci mancherebbe. Stiamo comunque parlando di un esordio più che convincente e non dev’essere per niente facile gestire tutta questa pressione in così giovane età. Se le premesse sono queste, non possiamo che essere fiduciosi per il futuro.


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