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REVIEWSLE RECENSIONI
28/05/2025
Stereophonics
Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait
Un disco breve, solo otto canzoni per mezz'ora di durata, in cui Kelly Jones replica una formula vincente con ottimi risultati.

Dopo quasi trent’anni di carriera e tredici dischi pubblicati, ai gallesi Stereophonics bisogna riconoscere il merito di aver sempre mantenuto fede al proprio credo, attraverso una coerenza tanto ostinata quanto genuina. Dischi fatti con mestiere, certo, ma un mestiere che si avvicina molto all’artigianato, con quel cesello sincero con cui si levigano piccole canzoni che, poi, diventano grandissime nel cuore delle persone. Perché il loro è sempre stato un pop rock mainstream, ma declinato senza pose e ostentazione, con il cuore aperto, semmai, di chi vuole rendere felice la gente, con belle melodie e un suono riconoscibilissimo, buono come i piatti della tradizione. Non hanno inventato nulla, gli Stereophonics, hanno sempre giocato con un passatismo consapevole e armonioso, eppure sono sempre arrivati lassù, in cima alle classifiche (britanniche), con dischi non immortali, ma stranamente irresistibili.

Il nuovo Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait ribadisce tutti i concetti appena sviluppati, con qualche leggera differenza rispetto al passato. L’idea iniziale (come per il precedente Oochya!) era quella di pubblicare un greatest hits (l’unico e ultimo risale al 2008), inserendo a fianco di materiale già noto anche due inediti. Poi, il cambio di rotta, visto che le canzoni su cui si poteva lavorare erano di più. Non molte di più, dal momento che, a differenza di precedenti lavori, questo nuovo album è composto solo di otto brani e dura circa mezz’ora. Se il suono è un marchio di fabbrica, come d’altra parte lo è la voce del frontman Kelly Jones, Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait spazia, tuttavia, attraverso i generi, pur mantenendo una coerente identità di fondo.

E siccome Kelly Jones (qui in veste anche di unico produttore) le belle canzoni le sa scrivere, anche questa breve scaletta contiene momenti destinati a farsi ricordare, almeno per i fan della band. Il disco si apre con "Make It On Your Own", essenza del suono Stereophonics e autentica gemma dell’album, in cui la voce calda e graffiante di Jones è il collante di una melodia che sta in bilico sul confine sottile che separa dolce malinconia e eccitante allegrezza. Chitarre rombanti, un eccelso arrangiamento d’archi e un ritornello da mandare a memoria in un nano secondo rendono il brano un istant classic del songbook della band gallese.

Non è da meno la successiva "There’s Always Gonna Be Something", un jangle pop capace di resuscitare i morti, una melodia così luminosa che sembra di toccare il sole con un dito. Un uno due da ko, che apre alla grandissima un disco che, pur non raggiungendo queste due vette, resta piacevolissimo fino alla fine.

A partire da "Seems Like You Don’t know Me", che si distingue dalle due precedenti per un tocco di elettronica avvolgente e minimal e che cresce nella seconda parte allungando il passo in una melodia sempre più malinconica. E se "Mary Is A Singer" e la conclusiva "Feeling Of Falling We Crave" giocano piacevolmente con il country rock di matrice californiana, "Colours Of October" è un’ondeggiante ballata dal retrogusto sixties mentre "Backroom Boys" è un brano smaccatamente pop e dallo sviluppo un po’ telefonato.

Resta da segnalare anche la curiosa e riuscita "Eyes To Big For My Belly", un brano che spinge su un graffiante groove funky e palesa bellicose intenzioni hard rock, tanto da citare scherzosamente "War Pigs" dei Black Sabbath.

Make ‘em Laugh, Make ‘em Cry, Make ‘em Wait è un buon disco, l’ennesimo di una band di bravi ragazzi che continua a scrivere canzoni utilizzando una vecchia formula vincente, senza inventare la ruota, ma facendola girare sempre con rinnovato entusiasmo. Un album onesto e piacevolissimo, che consolida ulteriormente l’abilità degli Stereophonics nel fondere la sensibilità rock con quelle uncinanti melodie che mantengono il loro sound vitale e suggestivo come ogni volta.