Come un varco spalancato sull’inconscio, l’EP catapulta l’ascoltatore in un viaggio sonoro e narrativo, psichedelico e frastornante, attraverso quattro tracce compatte.
L’itinerario, metafisico e tormentato, nei luoghi e nei tempi delle oppressioni, comincia con la title track, “Malalingua”, ispirata alla vicenda di András Toma, soldato ungherese catturato dai sovietici nel 1944 e rinchiuso per 53 anni in un ospedale psichiatrico. Da questo spazio di tortura e smarrimento che prende vita il pezzo: la voce di BENVENUTI si fonde con i campionamenti della compagnia teatrale MOTH, mentre i sintetizzatori di Rocco Marchi (Mariposa e Alessio Lega) avvolgono l’ascoltatore in un’atmosfera di claustrofobia e iso-lamento.
Il corpo centrale dell’EP, con le tracce “La mia qualunque età” e “Sentenza n. 162”, sposta l’ambientazione in Egitto, proseguendo la riflessione sulla prigionia attraverso l’evocazione delle vicende di Patrick Zaki e Giulio Regeni.
Il cantautore toscano si muove con audacia su un crinale instabile tra new wave e post-punk, alternando momenti di tensione trattenuta a improvvise esplosioni convulse. Il sax di Nicolas Guandalini, ora abrasivo ora lamentoso, diventa voce del grido soffocato dei detenuti, mentre le linee di basso pulsanti e le chitarre, trattate con riverberi e delay analogici e digitali, costruiscono un ambiente sonoro instabile e frammentato.
Tesi, antitesi, sintesi: si approda così alla quarta e ultima tappa del viaggio di BENVENUTI con “Se per quest’alba”, brano ispirato al romanzo Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque, che chiude il concept EP con un grido lucido e disperato contro l’ipocrisia della retorica bellica.
Il pezzo, attraversato da un’intensità volutamente discontinua, è sostenuto dalla batteria di Matteo Poidomani e dal basso profondo di Nicolas Guandalini, mentre i suoni stridenti della sirena antiaerea di Kiev si insinuano come presenze spettrali, tracciando un ponte inquietante tra le guerre del passato e quelle del presente. C’è qualcosa del Motta più crudo nell’urgenza vocale del cantautore esordiente: la stessa capacità di fondere rabbia e intimità, denuncia e carne, lacrime e sangue. Il climax sonoro che ne scaturisce alimenta la denuncia contro l’oppressione e la disumanizzazione di ogni guerra: quelle già combattute, quelle che oggi bruciano e quelle che ancora ci attendono.
Registrato e mixato tra Bologna e Palaia da BENVENUTI e Rocco Marchi, con Dave Cole e Tommaso Cherchi nella pre-produzione, l’EP si distingue per un lavoro sonoro meticoloso e concettualmente coerente. L’uso di campionamenti, field recordings e riverberi naturali da spazi improvvisati come armadi e cantine crea un senso costante di spaesamento e alienazione, rispecchiando l’angoscia delle prigioni fisiche ed esistenziali che l’artista intende abbattere. Un racconto di detenzioni che si riflette visivamente nella copertina realizzata dall’illustratrice Francesca Brevini: un collage inquietante incisivo di volti di detenuti, dal tratto vagamente warholiano.
Le influenze e i mondi evocati da BENVENUTI sono molteplici e stratificati, intrecciati in una texture complessa. Si ritrova la densità poetica e politica dei C.S.I., che riecheggia nei testi e nel tono declamatorio della voce, per passare all’inquietudine prog e teatrale del primo Lucio Dalla, in Automobili e Anidride Solforosa, dove l’ironia si fonde con l’angoscia del presente. Non manca l’impronta del Battiato più sperimentale, quello di Fetus, che esplora l’identità, il linguaggio e l’alienazione attraverso un uso visionario dell’elettronica. A queste radici italiane si aggiungono suggestioni internazionali altrettanto potenti: il cinismo cupo dei Pink Floyd di Animals, dove la critica sociale diventa una metafora animale, e la furia abrasiva dei Tropical Fuck Storm, apocalittici e iconoclasti, che nel caos sonoro trovano una lucidità spietata e quasi profetica.
Non è un ascolto semplice né consolatorio: Malalingua è un urlo angosciato ma carico di una speranza ostinata (e contraria) – quella di dare voce a chi non ha voce. In un presente in cui la musica spesso si rifugia nell’estetica fine a se stessa, il progetto di BENVENUTI irrompe come un atto politico che non teme di farsi carico di una memoria collettiva fatta di abusi, silenzi, rimozioni.
Con la stessa autenticità, l'EP è capace di vibrare fra le poltrone di un teatro e di far pogare centinaia di persone in un rave non autorizzato, tra riflessione e catarsi, lucidità politica e coinvolgimento fisico.
Un’opera testimoniaria che restituisce dignità a chi è stato relegato ai margini, un atto di resistenza: umano, artistico, necessario.