Facciamo un piccolo passo indietro nel tempo. Nel 2010, Jerry Lee Lewis incarna ancora la leggendaria figura di superstite del rock. A settantacinque anni suonati, dopo aver vissuto tutto il percorso di vita sulla corsia di sorpasso, con il piede pigiato costantemente sull’acceleratore, non è ancora giunto al capolinea, anzi, sta vivendo una nuova stagione di successi grazie a Last Man Standing, esuberante disco di duetti (2006). E sulla scia di quell’incontenibile adrenalina, ripete la formula con Mean Old Man, un lavoro da ricordare e da inserire nei must have del suo repertorio.
“The Killer”, come lo chiamano fin dalle scuole superiori i suoi amici per quella voce grintosa, lo stile brioso e la voglia di “ammazzare” alacremente il tempo che lo separa dalla celebrità, esordisce subito prepotente, insieme a Ronnie Wood, nella title track, scritta per lui dall’amico Kris Kristofferson. “If I look like a mean old man, that’s what I am”, sono le parole poco rassicuranti dell’incipit di questo brano, scelto anche come singolo, mentre quasi tutta l’opera è un susseguirsi di canzoni famose rivisitate insieme a coloro che le avevano portate al successo.
Scorrono così “Sweet Virginia”, marchiata a fuoco dalla voce fumosa e dagli inconfondibili fraseggi di un altro mean old man, Keith Richards, e “Roll Over Beethoven”, ove si scomoda un inedito trio artistico formato da Ringo Starr, John Mayer e Jon Brion (quest’ultimo è presente pure nella malinconica “Middle Age Crazy” con Tim Mc Graw). Arriva poi John Fogerty per un’ammaliante “Bad Moon Rising” e non può certo mancare l’altro glimmer twin, Mick Jagger, supportato da un irrefrenabile Jerry Lee, che trasforma la sua “Dead Flowers” in una sorprendente, meravigliosa ballata country con tanto di pedal steel guitar. Una delle vette dell’album si tocca quando il cantore di “Great Balls of Fire” si immerge insieme a Willie Nelson nelle irresistibili acque del “Whiskey River”, esperimento perfettamente riuscito.
Felice come un gatto che gioca, Lewis si diverte anche ad accompagnare Eric Clapton e James Burton in “You Can Have Her” e Sheryl Crow nel classico dei classici “You Are My Sunshine”.
Nato a Ferriday, in Louisiana, Jerry Lee inizia a suonare il suo strumento preferito in gioventù. “Avevo 5 anni”, ricorda in un’intervista per grammy.com, “mi sono avvicinato a un pianoforte e ho strimpellato ‘Silent Night’. Mia madre disse: 'Mio Dio, è un pianista nato'. E mio padre esclamò: 'Calma, ....'”.
Le sue doti incommensurabili si odono senza filtri in “Rockin’ My Life Away”, con una coppia di monelli, Kid Rock & Slash, nell’estatica “Swinging Doors”, pilotata dall’amico Merle Haggard, e nella solitaria “Sunday Morning Coming Down”, opera ancora di Kristofferson. I duetti sono sempre il piatto forte: “Railroad to Heaven”, insieme al reverendo Solomon Burke, "I Really Don’t Want to Know" e “Please Release Me” con Gillian Welch, infine "Hold You In My Heart" e "Here Comes That Rainbow" in compagnia di Shelby Lynne, brillano per stile e interpretazione.
«La gente ha sempre pensato che quello che faccio sia una recita. In realtà non lo è. Sono davvero profondamente coinvolto e la musica viene fuori in questo modo. Se vuoi emozionare il pubblico, devi essere in grado di farlo. È difficile riuscirci, ma bisogna arrivarci. Quando entro in scena o registro un disco, mi propongo di prendere il controllo del pubblico e di farlo impazzire. Se lo aspettano. È la musica a farlo, perché la musica è pura. Quando mi esibisco, racconto, non chiedo. È un approccio diverso». Estratto da intervista a allaboutjazz.com, 2010.
Il finale è di grande risonanza e intensità. Prima Mavis Staples, Robbie Robertson e Nils Lofgren rileggono con lui “Will the Circle Be Unbroken”: country e gospel, bianco e nero, blues e honky tonk, laico e spirituale si uniscono nel desiderio di una nuova vita, ultraterrena ed eterna, giusto premio dopo un’esistenza di tormenti e rimpianti. Poi c’è un uomo solo al pianoforte, che canta dolcemente nell'oscurità, come se fosse il suo unico conforto al mondo sulle note della struggente “Miss the Mississippi and You”. Una musica del cuore che commuove le persone, per merito di un artista il quale fino alla fine, e arriviamo al 28 ottobre 2022, non ha mai smesso di emozionare il suo pubblico, lasciando questa Terra proprio in uno dei suoi luoghi tanto amati, nel Mississippi, a Nesbit, nel ranch dove si era trasferito nel 1997, dopo tante peripezie.
“Will the circle be unbroken
By and by Lord, by and by
There's a better home awaiting
In the sky Lord, in the sky”