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REVIEWSLE RECENSIONI
28/05/2024
Riot V
Mean Streets
Gli statunitensi Riot sono definiti spesso come la band più sfortunata della storia del metal, e certamente anche oggi, orfani del membro fondatore Mark Reale, continuano a macinare musica e orgoglio che si tramuta in un altro gioiello come “Mean Streets”. Ascoltare per credere.

Ci vorrebbe un romanzo per descrivere tutte le disavventure dei Riot, attivi dal 1975 e protagonisti di mille storie e di un successo solo sfiorato e mai raggiunto. Le tante reincarnazioni della band americana hanno visto come guida il mitico chitarrista Mark Reale, dall’heavy rock dei capolavori a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, come Narita (1979) e Fire Down Under (1981), alla svolta power metal di Thundersteel (1988) e The Privilege of Power (1990), per arrivare alla crisi dei primi anni duemila e alla rinascita hard rock (ispirata dai Rainbow più classici) degli ultimi dischi, fino alla prematura morte di Reale nel 2012.

Certamente i Riot saranno ricordati per le copertine truci e grezze, in cui spesso fa capolino una delle “mascotte” più uniche che rare della storia del rock, quel Johnny “uomo foca” che si ama o si odia, ma di certo non si dimentica.

Il finale della storia poteva essere mondo e triste, ma i Riot superstiti, tra cui il chitarrista Mike Flyntz (nel gruppo dal 1990) e il determinato bassista Don Van Stavern (arruolato nel 2007), dopo la dipartita del grande capo, decisero di suonare alcuni spettacoli in memoria di Mark, e successivamente di ricompattare le fila del gruppo, aggiungendo un “V” nel nome e proseguendo a portare nel mondo la musica dei Riot. Che sia una tribute band oppure un modo furbo per fare soldi facili, il gioco sembra funzionare e arrivano anche dischi di nuova musica, come l’ottimo Unleash the Fire nel 2014 e Armor Of Light nel 2018.

 

Oggi è il turno di Mean Streets, pronto già da diversi mesi e destinato a uscire in un anno di grandi uscite metal: Accept, Bruce Dickinson, Kerry King, Judas Priest e Saxon, per elencarne solo alcuni. Inutile dire che il livello del nuovo lavoro dei Riot non sia certo inferiore ai suoi più blasonati colleghi, anzi spesso risultando di qualità superiore, pur senza stravolgere una ricetta che funziona e non vuole uscire da certi canoni musicali ben precisi.

I Riot propongono un sound essenziale e che va diritto al punto, senza intro pompose e produzioni eclatanti. Come nei precedenti due album, ascoltiamo una sapiente ricerca di equilibrio tra l’heavy rock cadenzato più metallico e anthemico (inevitabile citare certi Priest dei primi anni Ottanta) e una velocità power metal che non diventa mai cacofonia fine a sé stessa. Le qualità principali, oltre al “cuore” che trasuda dalle dodici tracce, rimangono di certo le armonie chitarristiche del citato Flyntz e di Nick Lee, unite alla clamorosa voce del prodigio Todd Michael Hall, pulita, potente e sempre ispirata.

Non possiamo però dimenticare anche un livello compositivo alto e ben sostenuto, grazie a brani compatti e diretti come l’iniziale ed epica “Hail To The Warriors”, la tagliente “Feel The Fire”, l’articolata e notturna “Love Beyond The Grave” e la melodia cristallina di “Before This Time”, la vera gemma del disco. Anche quando si alza la velocità non arriva la delusione, per mano di “High Noon” e “Higher”, anche se la seconda parte dell’album è leggermente meno riuscita. Troppo generosi i ragazzi, che avrebbero potuto tagliare un paio di tracce e rendere il tutto più efficace e memorabile. Mean Streets rimane però un piccolo bignami di come suonare il “classic” metal nel 2024.