Che lo si voglia credere o no – e i primi a non farlo sembrano proprio gli stessi membri della band – i Mastodon sono in circolazione da vent’anni. Formatisi nel gennaio del 2000 ad Atlanta, Georgia quando Brann Dailor (batteria/voce) e Bill Kelliher (chitarra), da poco fuoriusciti dai Today Is the Day e originari di Victor, New York hanno incontrato in città Troy Sanders (basso/voce) e Brent Hinds (chitarra/voce) a un concerto degli High on Fire, i Mastodon nel corso del tempo sono diventati una delle band metal più acclamate del nuovo Millennio, grazie a un’innovativa proposta nella quale sono riusciti a fondere con successo metal, progressive, grindcore e harcore. Il tutto condito da tonnellate di riff di chitarra estremamente complessi, pattern di batteria funambolici ispirati al jazz, tempi dispari, elaborati intermezzi musicali, liriche chiaramente influenzate dalla science fiction e – cosa che non guasta mai – un apparato grafico estremamente curato e tra i più belli in circolazione.
Dopo un Ep (Lifesblood, 2001) e un album di debutto (Remission, 2002) dalle forti tinte sludge, tra escursioni death metal à la Entombed e assoli di chitarra presi di peso dalla discografia della Allman Brothers Band, i Mastodon sono saliti alla ribalta con il loro secondo disco, Leviathan (2004), un concept album basato sull’iconico romanzo di Herman Melville Moby Dick, raggiungendo il successo commerciale con Blood Mountain (2006), trainato dal singolo “Colony of Birchmen”, nominato ai Grammy come Best Heavy Metal performance. Passati dall’indipendente Relapse a una major come la Warner, i Mastodon – nonostante un maggiore budget e un produttore di serie A come Brendan O’Brien – hanno proseguito il loro percorso artistico senza snaturarsi, dando alle stampe nel 2009 un nuovo concept, l’ambizioso Crack the Skye, un disco dove convivono misticismo, la storia degli zar di Russia, le esperienze extracorporee, le teorie sui buchi neri di Stephen Hawking e la tragica vicenda della sorella di Brann Dailor, morta suicida a soli 14 anni. Il tutto immerso in un magma sonoro che aggiorna al nuovo Millennio le sonorità dei primi King Crimson, ibridandole con il Metal più estremo.
Dopo un album con così tanta carne al fuoco è comprensibile che con il successivo The Hunter (2011) i Mastodon abbiano sentito la necessità di snellire il proprio sound, oppure di introdurvi delle suggestioni psichedeliche, come testimoniano alcuni passaggi piuttosto trippy di Once More ‘Round the Sun (2014). E anche se oramai sono diventati una band di richiamo nei cartelloni dei festival di tutto il mondo, con un Grammy in bacheca (Best Metal Performance per “Sultan’s Curse”) e un singolo nella Top 10 di Billboard (“Show Yourself”), i Mastodon non hanno smesso di esorcizzare e sublimare attraverso la musica le esperienze della loro vita, in special modo le più traumatiche e dolorose, come testimoniano sia l’album Emperor of Sand (2017), dove il vagabondo che attraversa il deserto protagonista del disco altro non è che una metafora per il cancro, sia l’EP Cold Dark Place (2017), vero e proprio break-up album in chiave Metal.
Con un nuovo disco in avanzata fase di scrittura (ma che non uscirà prima del prossimo anno) e nel bel mezzo di una pandemia globale che ha sconvolto tutti i piani della band – con i risicati introiti derivanti dallo streaming, che senso ha pubblicare un album di inediti ben sapendo di non poterlo promuovere adeguatamente con una lunga tournée?, ha confidato Brann Dailor a «Rock Sound» – i Mastodon hanno colto l’occasione del ventennale per raccogliere sotto lo stesso tetto tutta una serie di pezzi (16 per la precisione) che negli anni sono rimasti confinati nei tanti singoli, split-album, colonne sonore e collaborazioni che i quattro hanno disseminato lungo il loro percorso. Veri e propri nobody’s children, citando il titolo di un’analoga raccolta di Tom Petty, che però fanno comprendere meglio le varie influenze della band e permettono di conoscere un lato inedito del sound dei Mastodon che non ha trovato spazio nella discografia ufficiale.
Apre la raccolta, la cui selezione è opera principalmente di Troy Sanders, “Fallen Torches”, l’unica canzone che si possa considerare realmente inedita, registrata l’anno scorso assieme a Scott Kelly dei Neurosis (e anche questa volta si ripete la tradizione di una sua ospitata in un album della band) e inizialmente pensata per un EP collaborativo che poi non ha visto la luce. Un pezzo martellante, in cui tutte le caratteristiche del Mastodon sound più classico sono rispettate, e che dà però inizio a una piccola suite dal piacevole retrogusto psichedelico, composta dalla cover di Fiest “A Commotion” e quella dei Flaming Lips “A Spoonful Weighs a Ton” e ha il suo momento più alto nella spettacolare versione strumentale di “Asleep in the Deep”, dove spiccano il meraviglioso lavoro alle tastiere del compianto Ike Isaiah Owens e il bellissimo assolo di chitarra di Brent Hinds.
Ed è proprio nelle versioni strumentali che Medium Rarities ha i suoi pezzi forti, perché tra gli highlights del disco ci sono senza dubbio anche “Toe to Toes”, “Halloween” e “Jaguar God”, tutti brani che esaltano l’interplay tra i quattro musicisti, come dimostra anche l’ottima cover di “Orion” dei Metallica, registrata nel 2006 per l’album tributo ai Four Horsemen Remastered: Metallica’s Master of Puppets Revisited.
A dimostrazione, però, che il lavoro extracurriculare dei Mastodon spesso e volentieri ha preso delle pieghe inaspettate, c’è “White Walker”, apparso sul mixtape Catch the Throne: Volume II, realizzato per promuovere la quinta stagione de Il trono di spade (dove la band è apparsa in un cameo), un pezzo dalle tinte Folk dove lo storytelling è in bella evidenza. Tutto il contrario, invece, dei brani più folli e improbabili del disco, che svelano un altro aspetto della personalità dei Mastodon, ovvero la volontà di non prendersi troppo sul serio. Come spiegare altrimenti due canzoni come “Atlanta” con Gibby Haynes dei Butthole Surfers e “Cut You Up with a Linoleum Knife” (dalla colonna sonora della black comedy animata Aqua Teen Hunger Force Colon Movie Film for Theaters), dove, in meno di due minuti, convivono un riff di stampo death metal, un ritornello che sembra una parodia di King Diamond e un assolo di chitarra dalla velocità supersonica?
A intervallare il tutto, quasi a separare le varie sezioni di cui è composto di disco, cinque vere e proprie greatest hits della discografia dei Mastodon, qui in versione live: “Capillarian Crest”, “Circle of Cysquatch”, “Blood & Thunder”, “Crystal Skull” e “Iron Tusk”. Originariamente apparse negli album più iconici e amati della band – Leviathan e Blood Mountain – testimoniano come anche sopra le assi di un palcoscenico i Mastodon siano sostanzialmente una macchina da guerra (anche se la resa vocale alle volte non è proprio impeccabile, ma non è questo il caso), riproponendo in maniera pressoché perfetta anche i pezzi tecnicamente più complessi da eseguire.
È vero, a voler fare i pigoli, molti brani mancano all’appello, come le cover di “Just Got Paid” degli ZZ Top, di “The Bit” dei Melvins e quella di “Stairway to Heaven” dei Led Zeppelin, realizzata come tributo al compianto manager Nick John, oppure le originali “Death Bound”, inclusa nella compilation Adult Swim: Singles Program 2011 (e apparsa anche nell’edizione limitata di The Hunter), e la recentissima “Rufus Lives”, scritta apposta per la colonna sonora di Bill & Ted Face the Music. Tutti pezzi che, per un motivo o per l’altro, avrebbero meritato di apparire in Medium Rarities. Ma, dopotutto, era necessario fare delle scelte editoriali e la band evidentemente ha deciso che questi erano i brani che raccontavano meglio la propria storia. È vero, qui non siamo dalle parti di compilation di rarità rivelatrici come The Masterplan degli Oasis e Sci-Fi Lullabies degli Suede, dove molti dei pezzi presenti erano migliori di quelli apparsi sugli album ufficiali. Non ci sono tesori nascosti, in Medium Rarities, ma solamente l’ennesima dimostrazione – e a conti fatti non è poco – di quanto i Mastodon siano una band multidimensionale, dalla personalità musicale estremamente complessa e sfaccettata, e dai gusti apparentemente contraddittori, dove convivono – alimentandosi a vicenda – ironia e ambizione.