Nel 2020 Micah P. Hinson consegnava pizze e lavorava in una videoteca, stando a quanto lui stesso racconta dal palco del Santeria verso la fine del concerto. La sua carriera era finita, o stava comunque attraversando un punto particolarmente basso. È in quel momento che Alessandro “Asso” Stefana lo ha trovato (“Alessandro found me” ha spiegato senza troppo entrare nei dettagli), lo ha portato allo Sponz Fest, organizzato ogni estate da Vinicio Capossela nella sua Calitri, e lì sono andati in studio, senza un piano preciso, a registrare sull'onda del momento.
Ne è uscito I Lie to You, un disco bellissimo, che ha riportato il cantautore texano (ma è nato a Memphis, Tennessee, come lui stesso ci tiene a precisare) a uno status artistico probabilmente impensabile, dato il punto in cui si era arenato.
È stato anche il disco che ha cementato il suo legame con l'Italia, con Ponderosa come etichetta e con lo stesso Asso nelle vesti di produttore, oltre a Raffaele Tiseo a contribuire attivamente al lavoro di arrangiamento.
La sua nuova vita, come ormai ama definirla, è proseguita quest'anno con un'altra tappa importante: The Tomorrow Man è, se possibile, ancora più riuscito del precedente, un album che da solo vale una carriera. Prodotto ancora una volta da Stefana, l'album segna l'approdo definitivo al grande canzoniere americano, con l'orchestra di Benevento diretta da Tiseo a dare spessore e profondità a canzoni di una bellezza assoluta, che fondono le sue ultime, difficili vicende personali, con i chiaroscuri del tormentato romanzo a stelle e strisce di questo secolo.
Il concerto milanese è il terzo di quattro appuntamenti nella nostra penisola (nell'ordine ci sono state Senigallia e Fidenza, quest'ultima nell'ambito del Barezzi, mentre il 19 sarà a Roma) che certificano una relazione oramai più che consolidata.
Il Santeria è bello pieno e conferma l'affetto che il pubblico italiano nutre per lui, che anche prima di prendere residenza artistica dalle nostre parti amava suonare in lungo e in largo per il paese.
Sono le 21.30 quando prende possesso del palco: cappello a tesa larga in pieno stile texano, i proverbiali occhiali dalla montatura spessa e la chitarra acustica tenuta in alto sul petto e che non cambierà mai per tutta la durata dello show.
Accanto a lui ci sono Stefana, che suonerà prevalentemente tastiera e banjo ma che si concederà sporadiche incursioni a pedal steel e armonica; alla batteria Paolo Mongardi, semplicemente tra i migliori batteristi italiani in circolazione (Zeus, Fuzz Orchestra, Jennifer Gentle tra gli altri) e che aveva già suonato sul disco precedente, oltre che in un brano di quest'ultimo.
I brani di The Tomorrow Man, eseguito per intero, occupano la maggior parte dello show e nonostante si tratti di pezzi che necessiterebbero di un trattamento da big band per valorizzare al meglio la magniloquenza delle orchestrazioni, anche in questa formazione a tre risultano perfettamente funzionanti. Le tastiere possono apparire a tratti “finte”, per alcune scelte specifiche di suono ma direi che in generale offrono un buon contributo. Stessa cosa per la batteria, autentico valore aggiunto, mai banale nelle ritmiche e magistrale in alcune soluzioni di riempimento che spruzzano alcuni brani di una componente Jazz che li rende ancora più interessanti.
Con due compagni di tale caratura, l'impressione è che Micah si senta più tranquillizzato, sereno. Non ci sono infatti quelle sfilacciature e quei momenti dispersivi che ricordo dall'unica volta che l'ho visto (ma sono passati più di dieci anni) e che amici che hanno assistito a diversi suoi live mi avevano più volte riferito.
Per tutto il concerto appare teso, concentrato, segue una scaletta che è stata evidentemente preparata con cura, senza nulla concedere all'improvvisazione, e l'unica pausa un po' lunga se la prende per accordare (“Gli americani sono andati sulla luna e non sono ancora riusciti ad inventare delle corde che reggano l'accordatura” ha detto serissimo; e poi: “Non dovete ridere per forza ad ogni stronzata che dico!” in risposta alla più che ovvia reazione dei presenti).
In mezzo, tante canzoni (alla fine saranno 22) e tre dei suoi proverbiali monologhi: uno per introdurre “I Don't Know God”, dove ha ripercorso la storia della sua famiglia e della tribù Chickasaw da cui discende per parte di madre, l'altro durante il primo bis, quando ha riproposto una versione più scarna di “Oh Sleepyhead”, il brano con cui aveva già aperto il concerto, spiegando che l'ha scritta come ninnananna per una delle figlie, quando questa aveva pochi mesi, e da qui aprendosi parecchio sul rapporto con l'ex moglie, sul suo essere padre e su come questa nuova condizione lo abbia reso molto più attaccato alla vita. Da ultimo, prima della toccante esecuzione di “People”, parla di come i tempi odierni (“E non c'è un unico responsabile” ci ha tenuto a ribadire) ci obblighino a stringerci tra noi, a trattarci con gentilezza e compassione, nel riconoscimento della comune condizioni di esseri umani la cui vita ha la stessa dignità.
È un uomo e un artista profondo, Micah P. Hinson, e queste esternazioni le riversa poi sui brani della setlist, tutte cantate in maniera impeccabile, il suo timbro baritonale come sempre magnifico ma che questa sera sembra avvalersi di una consapevolezza in più.
Il nuovo disco dal vivo si conferma bellissimo, soprattutto nei momenti maggiormente in punta di piedi come “Think of Me” o “I Thought I Was the One”, ma incantano anche alcuni estratti di I Lie to You, in particolare “What Does It Matter Now?” e la struggente “Carelessly”.
Pochissimi i ripescaggi dal passato, forse per enfatizzare ancora di più questa rinascita che sta vivendo. Ciononostante, un boato accoglie “Beneath the Rose”, dal capolavoro realizzato coi Gospel of Progress, mentre risultano piacevoli le sonorità quasi bluegrass di “There's Only One Name” e “When We Embraced”.
A 44 anni Micah P. Hinson ha realizzato quello che è forse il più bel disco della sua carriera e sta facendo, almeno a detta di chi lo segue dall'inizio, i suoi concerti più riusciti di sempre.
Non ci resta che ringraziare Asso per averlo ritrovato.

