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REVIEWSLE RECENSIONI
11/03/2018
Moaning
Moaning
Il trio di Los Angeles debutta con un album a metà tra post-punk e shoegaze in un esperimento non completamente riuscito ma con qualche picco di indubbia qualità artistica.

Post-punk e shoegaze sono due generi che vanno a braccetto sin dai tempi di certi pezzi dei Jesus and Mary Chain. Ma le cose devono venire naturali. È quando si hanno le idee poco chiare - magari solo perché si è troppo giovani - che si rischia l’alchimia. A dosare la percentuale di ciascuno dei due ingredienti a favore dell’uno o dell’altro stile e mettendo in un disco valori differenti in ogni traccia, il rischio è quello di scontentare i fan di entrambi gli schieramenti con un’opera a metà. Il vantaggio - a seconda se si osserva la cosa dal punto di vista opposto - è quello invece di avere due album in uno.

I Moaning sono un trio di giovanissimi di Los Angeles che hanno appena debuttato con il loro omonimo disco di esordio in cui mescolano i due suddetti generi con dimestichezza dopo alcune avvisaglie che, invece, li facevano propendere più verso un’indole quasi dark, attirando l’interesse e le speranze degli amanti di quel suono. Il singolo “The same”, per dire, pubblicato nel 2015, ricorda i Bloc Party di “Silent Alarm”. E anche gli altri due brani tratti da “Moaning” e usciti nei primi mesi del 2018 con tanto di video, mi riferisco ad “Artificial” e “Don’t go”, sono sulla stessa linea e risultano due ottime canzoni con convincenti tratti di originalità con cui la band si posiziona addirittura dalle parti del post-punk evoluto dei Preoccupations e dei Protomartyr.

Nella lunga distanza le cose cambiano un po’. Non che la qualità scenda, ma il loro tratto distintivo diluito in dieci brani si smarrisce attraverso trame diverse che fanno perdere l’orientamento a chi ascolta. Canzoni come “Tired”, “For now” e “Misheard” seguono abbastanza fedelmente le indicazioni tracciate dalle canzoni che hanno anticipato il disco uscito per Sub Pop, lasciando però trapelare già quella componente shoegaze e alternative rock che poi esplode manifesta nelle composizioni rimanenti. Il potenziale cinico e razionale delle direttive originali va a schiantarsi contro un muro di distorsioni ed effetti tutt’altro che contenitivo, lasciando tracimare il suono nelle lande astratte della psichedelia che, per definizione, è un posto dove perdersi è un attimo.

I Moaning non devono aver sentito l’urgenza di dare un titolo al loro album d’esordio. L’escamotage del same title, soprattutto in occasione della prima uscita, serve a concentrare l’attenzione su un progetto che prende il via. È giusto premiare quindi le buone intenzioni e soprassedere alla confusione di posizionamento, forse dovuta alla comprensibile voglia di dire tutto il possibile su di sé e concentrarlo in un disco come se non ci fosse un domani. La speranza è che i tre ragazzi di Los Angeles nel breve periodo si concentrino sulla possibilità di dichiarare apertamente da che parte stanno. Nel frattempo ciascuno di noi può godersi le canzoni che più gli somigliano, io ho già fatto la mia scelta di campo.