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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
05/11/2021
Sasha Vinci
Modellare l’uomo, la forma, la vita e il suo tempo
“Esseri che evadono dalla realtà, per cambiare forma ed elevarsi verso una dimensione “multinaturale”, alla ricerca di un nuovo equilibro, un nuovo senso etico della vita” (S. Vinci)

Permeare il concreto, modellarlo, impastarlo come farebbe un bimbo con il buon vecchio pongo, lasciare libere le mani, a cercare forme tanto che alla fin della fiera nessuna forma può essere non vera. Si gioca con il concetto di forma così come faremmo poi con il suono e la forma canzone. Che poi in questo lavoro di forme strane non ce ne sono e forse è questo il vero quid pluris di un disco che non porta rivoluzione ma solo e soltanto visione poetica della vita quotidiana. Parliamo dunque di visioni che vorrei poter definire “contadine”: Sasha Vinci, artista che a loro restituisce suono, oggi mi regala l’ascolto di Mercurio, disco di una pregiata delicatezza pop digitale che si manteca e impasta con mestiere ai suoni analogici, il tutto permeato da semplicità, liquidità che scorre, forme canzoni mai sghembe.

Mercurio è metafora di mutevolezza, di questa vita “precaria” nella sua stabilità ma proprio per questo è vita stessa che accade e che concorre al divenire. Disco che si appoggia ancora al suono e al mood di un musicista come Vincent Migliorisi, soluzione “fatale” al risultato del tutto.

Mercurio è un disco rivolto agli uomini di questa terra, alla luce siciliana che riempie di colori, è un disco dove si susseguono forme e ritualità; un poco ricorda l’elettronica pop di Battiato, un poco il dramma umano dei Baustelle, un poco le sperimentazioni poco conosciute di Branduardi.

Mercurio non è chiamato a fare la differenza ma soltanto a celebrare l’esistenza delle cose. Vivo con rispetto l’ascolto ed è compito di ognuno di noi cercare di oltrepassare la buccia della superficie delle cose per elevarsi, confrontarsi e dunque evolversi verso un altrove, alla ricerca di un nuovo senso etico della vita.

 

 

Uomo e metamorfosi. Due tra i concetti cardini di questo lavoro. Chi è per te l’uomo su questa terra e che rapporto hai con le sue mutazioni?

Mutazioni e metamorfosi sono alcuni dei concetti che compongono Mercurio. Le canzoni rappresentano il canto di uomini e donne che vivono le fragilità e le contraddizioni del presente. Esseri che evadono dalla realtà, per cambiare forma ed elevarsi verso una dimensione “multinaturale”, alla ricerca di un nuovo equilibro, un nuovo senso etico della vita. Ad oggi queste visioni rimangono pura utopia.

 

Ma restando su questo tema: è l’uomo a generare mutazioni o è la vita a mutare l’uomo?

Con Mercurio affronto entrambi gli aspetti; racconto di un’umanità violenta e atroce, ma allo stesso tempo canto l’imprevedibilità della vita e della natura, che agisce sull’umano creando alterazioni positive e meravigliose.

 

Un disco che per titolo ha Mercurio, ma nel suo DNA ci vedo la polvere bianca dei sogni. Non so se ho reso bene questa mia immagine che il tuo suono è riuscito a regalarmi sin dal primo ascolto. Hai usato un’estetica industriale, digitale, per raffigurare l’uomo e la sua evanescenza, o sbaglio?

Mercurio è un mondo generato da un dualismo musicale complesso: le sonorità delle chitarre, del banjo e della batteria acustica si accordano e si armonizzano con i suoni elettronici e digitali dei synth e delle tastiere. Si genera così una musica liquida ed estremamente densa, che avvolge le parole e a volte volutamente le sommerge, mantenendo sempre una conduzione elettrica vibrante e intensa.

 

Vincent Migliorisi, che sia lui il vero traghettatore dentro una forma canzone che fino ad ora vedevi distante da te? Oppure c’è altro che ti ha permesso questo incontro?

Non ho mai visto la musica come un elemento distante, al contrario l’ho sempre affrontata con coraggio e voglia di sperimentazione. La prima canzone l’ho scritta nel lontano 1998, anni in cui si consolidava in me l’amore per la canzone d’autore. Anni più tardi, l’incontro con Vincent è stato sicuramente un caso fortunato e inaspettato. Vincent ha un’identità ben definita come compositore e musicista, ma allo stesso tempo è interessato e attratto da nuove sfide. Sono queste le qualità che mi hanno incuriosito e spinto a intraprendere una collaborazione sincera e spontanea, che ha regalato ad entrambi l’opportunità di allargare i propri orizzonti, per creare un dialogo, tra due mondi apparentemente distanti. L’album Mercurio rappresenta questo cortocircuito, un perfetto bilanciamento tra le nostre rispettive personalità creative.

 

Parlami dei colori. I tuoi video, le tue immagini, le tue grafiche. Perché questi colori così accesi? Non penso sia un caso.

Le immagini e i colori dei video del progetto Mercurio parlano un linguaggio estetico, concettuale e simbolico proprio della mia ricerca artistica. I colori tersi e brillanti trasportano lo spettatore verso una dimensione surreale. Le immagini non sono state alterate o modificate digitalmente, sono semplicemente modellate da una luce siciliana che permea tutto e conferisce alle scene un’atmosfera estraniante e onirica.

 

Che poi le tinte così sfacciatamente unite sembrano essere un controsenso alla mutevolezza di questo concept. Come le giustifichi, come e dove trovi il punto di connessione tra questi concetti assai distanti?

Mi interessano i contrasti e le differenze tra elementi e concetti diversi, in modo da generare qualcosa di nuovo e di imprevedibile. Cerco così di creare un crossing-over, un meccanismo di ricombinazione creativa tra i testi e la musica, tra le immagini e il movimento, tra il colore e la forma.

 

E l’estetica delle cose, delle forme, anima portante per la tua arte visiva, quanto influisce anche sulla forma delle canzoni e sul messaggio delle tue liriche?

La mia arte è un organismo fluido, multiforme e plurale. Non c’è differenza tra i linguaggi creativi, rappresentano la necessità di sperimentare, l’urgenza di comunicare.

 

A chiusa: domanda assai intima e personale, ma che questo disco in qualche modo mi ha ispirato grandemente. Secondo te il suono ha una forma?

Assolutamente sì. Il suono strumentale e quello delle parole emesse dalla voce per me hanno una forma, una struttura e un peso ben definito. Scelgo determinate parole perché le visualizzo tridimensionalmente, dando origine a un’immagine sonora concreta che si compone e impone nello spazio.