Intervistati proprio in questi giorni da Ondarock, in occasione del loro ritorno in Italia (oltre a quella di Milano di cui si parla qui, suoneranno stasera a Roma) i Mono hanno ribadito per l'ennesima volta di non avere mai accettato l'etichetta “Post Rock” che è stata loro appiccicata addosso forse un po' troppo frettolosamente. “Vogliamo solo creare musica che nessuno abbia mai sentito prima” hanno dichiarato; per poi aggiungere che, quando hanno iniziato a suonare, la loro massima aspirazione era quella di suonare brani a la Morricone, ma utilizzando le stesse chitarre dei My Bloody Valentine.
Ammettendo che forse si può essere un po' meno rigidi e concedere che “Post Rock” sia una definizione tutto sommato azzeccata (per quanto si possa essere giustamente allergici alle classificazioni automatiche, gli stilemi che portano avanti sono quelli) è vero che la definizione da loro fornita riesca a cogliere abbastanza bene la peculiarità del sound del quartetto di Tokyo.
Sembra incredibile, ma io ancora dal vivo non li avevo visti. Non riesco a ricordarmi i motivi ma, tra sovrapposizioni di date e impossibilità logistiche, sono riuscito nell'impresa di perdermeli puntualmente ad ogni loro passaggio nella penisola (e non sono stati pochi, tra l'altro).
Questa volta finalmente ci siamo: l'occasione non è un nuovo disco (l'ultimo è ancora Oath, pubblicato a giugno 2024) bensì Forever Home, registrazione dal vivo (disponibile anche in Blu-ray) di un concerto nella loro città natale, in compagnia dell'Orchestra Pitreza. Il modo migliore per festeggiare il proprio venticinquesimo compleanno, rileggendo alcuni dei loro brani preferiti, in un'operazione non molto diversa da quella di Londra di alcuni anni fa, immortalata nello splendido Beyond the Past.
Il Legend è già bello pieno quando arrivo, esattamente nel momento in cui Nicolas Veroncastel fa il suo ingresso in scena. L'artista francese, conosciuto per la sua militanza nei LYS ma anche per alcune collaborazioni con Placebo, Cure e Archive, sta ormai portando avanti la carriera solista, inaugurata nel 2022 con l'EP Waste.
A gennaio uscirà il disco vero e proprio e questo tour rappresenta un contesto privilegiato per testarne il materiale di fronte ad un pubblico che non è il suo ma che ci si immagina sia dovutamente ricettivo.
Sul palco sono in due, con piano elettrico e chitarra come unici strumenti suonati dal vivo. Il resto, batteria compresa, è affidato alle sequenze, una scelta che mi causa sempre un grosso fastidio e che non ho mai compreso fino in fondo. Non sarebbe stato meglio utilizzare i mezzi a disposizione per proporre versioni stripped dei brani, anziché riempirli di roba finta, con il risultato di provocare un fastidioso effetto karaoke?
Dico questo con profondo dispiacere perché poi, se si guarda nello specifico, le canzoni ci sono. Anzi, possiamo dire che il repertorio di Veroncastel sia bellissimo, pieno di pezzi dal mood crepuscolare e dal forte impatto melodico. Arriva anche una interessante rilettura di “Heroes”, già contenuta nell'EP, ma il materiale originale possiede forza a sufficienza per tenere inchiodato il pubblico che, nonostante i soliti proverbiali chiacchieroni egomaniaci che ormai è impossibile evitare, ascolta in un silenzio affascinato e non manca di applaudire con convinzione.
Segnatevi gennaio in agenda (sul giorno esatto immagino che ci verrà detto) perché ci sarà di che godere.
Il cambio palco trascorre tra i fumogeni che invadono lo stage e una soffusa musica di pianoforte in sottofondo. Dopo una mezz'ora, in un silenzio quasi irreale, ecco i quattro Mono, accolti dal boato del pubblico, sistemarsi con calma, perdere qualche minuto per testare i suoni e poi via con le prime note di “Run On” che invadono il locale.
La formazione è la stessa dal 2018, anno di ingresso del nuovo batterista Dahm Majuri Cipolla, che ha sostituito il membro originario Yasunori Takada e che rappresenta ora l'unico non giapponese all'interno della band. Gli altri tre sono i soliti: Takaakira “Taka” Goto e Hideki “Yoda” Suematsu alle chitarre, Tamaki Kunishi al basso, che saltuariamente si sposta sul Synth.
L'intesa tra loro è palpabile, si guardano pochissimo ma trovano comunque gli incastri necessari per far crescere le architetture dei vari pezzi, in un continuo crescendo di bellezza straniante e senza tempo. Dal vivo le differenze stilistiche tra un disco e l'altro tendono un po' ad appiattirsi, lasciando prevalere un pattern fatto di arpeggi eterei nella prima fase, che vengono via via trattati dalla sezione ritmica, ed un muro di suono progressivamente eretto, che sfocia il più delle volte in una scarica Noise intensa e prolungata.
Resa sonora complessivamente buona, purtroppo a livello di visibilità ci siamo poco, col solito palco troppo basso che, quando il locale è pieno come in questo caso, rende abbastanza difficile vedere i musicisti in azione.
Nove i brani in scaletta, per circa un'ora e mezza di concerto, che prende in considerazione soprattutto la fase più recente della storia del gruppo (c'è un'ottima “Sorrow”, da quel Nowhere Now Here prodotto da Steve Albini, e non manca “Innocence”, estratta dal successivo Pilgrimage of the Soul) e purtroppo solo un estratto (“Pure As Snow”) dal capolavoro Hymn to the Immortal Wind, che anche loro, se interrogati sull'argomento, ammettono essere il loro disco più rappresentativo.
L'unico autentico tuffo nel passato arriva nei bis, con la meravigliosa “Recoil, Ignite”, che con le sue sfuriate epiche chiude un concerto di una bellezza a tratti sovrannaturale.
Ci aveva visto lungo John Zorn, quando pubblicò sulla sua etichetta Tzadik il loro EP d'esordio. Da allora i Mono sono divenuti un nome di riferimento in tutto l'ambito della musica strumentale contemporanea, in qualunque modo la si voglia guardare. Ora che li ho visti dal vivo, capisco ancora di più la loro grandezza.
Appuntamento al prossimo disco e al prossimo tour.

