Scorre il 2001 quando Larry Coryell, uno dei chitarristi jazz più apprezzati al mondo, pubblica un album ricco di contaminazioni: insieme al virtuoso texano si esibisce una manciata di ottimi musicisti di origine indiana e iraniana, all’insegna della società multietnica.
Un progetto dal notevole valore artistico e un’importante lezione d’integrazione, soprattutto pensando alle vicende di questi ultimi tempi, alle ideologie fondate sull’ipocrisia del politically correct, con un mondo in realtà comandato da chi non ha il minimo riguardo per le minoranze e le differenze culturali. L’artista statunitense, in contrasto con il governo del suo Paese di origine, è invece sempre stato un grande esempio di lungimiranza e coerenza, qualità mantenute fino alla sua scomparsa nel 2017, nel corso di una lunga e pregiata carriera costruita con profondo rispetto e una forte e sincera curiosità nei confronti del diverso.
Per Moonlight Whispers il “Padrino della fusion” decide di arricchire il suo sound facendosi promotore di un incontro tra differenti mentalità e tradizioni musicali. Il disco si caratterizza per un mood pacato e rilassato, una pace dei sensi che viene evocata sin dalla copertina crepuscolare.
Coryell, classe 1943, che all’epoca vanta già una cinquantina di pubblicazioni da solista, tra incisioni live e in studio, conosce i nuovi compagni di viaggio durante un concerto a Tampa, in Florida. Sono Ronu Majumdar, maestro del flauto indiano presente anche come autore di quattro brani, Abhijit Banerjee, geniale suonatore di tabla assimilabile per carisma e tecnica al più conosciuto Trilok Gurtu, il percussionista francese di origini iraniane Keyvan Chemirani, esperto di ritmiche persiane, e ultima ma non meno importante, la multistrumentista e produttrice Sina Vodjani, nata a Isfahan, Iran.
L’innato spirito collaborativo di Larry (sono memorabili le partnership con Alphonse Mouzon, Steve Kahn, Philip Catherine, John Scofield e Paco de Lucia), è rimasto intatto fin dai tempi degli esordi come sideman, quando si esibiva con Gary Burton, Steve Marcus e Don Sebeski. E qui si evidenzia oltremodo questa grande attitudine, con un gruppo di artisti incredibilmente dotati: le canzoni di Moonlight Whispers sono, parafrasando il titolo, “sussurri al chiaro di luna”, sembrano legate da un filo rosso, un minimo comun denominatore che trova le sue radici nella natura.
Le delicate melodie della chitarra acustica di un Coryell veramente ispirato nell’inventare e cucire armonie su armonie si uniscono perfettamente a intensi impasti ritmici e atmosfere oniriche. Ne sono fulgido esempio “Stoppin’ Short” e “One-O-Eight”, due fra le tante vette dell’opera. Agli inizi del secolo uno dei termini inflazionati per descrivere tali sonorità era new age, e si potrebbe in realtà utilizzare questa definizione pure adesso, considerando che la maggior parte delle composizioni suscita un senso di pacificazione e riunificazione tra mente, corpo e natura.
Non è tuttavia l’unico incontro del disco. Sono tantissime, infatti, le occasioni in cui la cultura americana e quella indiana si sintetizzano dando vita a un terzo elemento, un valore aggiunto che, anche prescindendo dalla indubbia abilità tecnica, emoziona profondamente senza essere mai gratuito. Basta ascoltare l’introduttiva “Ganjies”, oppure l’intrigante “Sunrise”, la multietnica “Trem Brazil-India”, la conclusiva title song, ove tutte le componenti espresse tornano con maggior enfasi.
Moonlight Whispers si rivela proprio un album denso di passione e amore per il mondo, un mondo idealizzato che cerca di abbracciare culture e tradizioni diverse allo scopo di scoprire l’identità dell’uomo moderno. Sono concetti importanti, che meritano una riflessione profonda nell’apocalittica situazione odierna. La bellezza della contaminazione, la forza dell’inclusione: jazz, folk, country e world music vanno a braccetto e poi si fondono in episodi memorabili quali “Kawloon Jag”, la fatale “Song of the Swan” e l’appropriata, intensa, “Brothers”.
Un disco coi fiocchi, meritevole di un attento ascolto per regalarci ancora la forza di sognare, facendo rotolare via le ansie e le paranoie del dover esser sempre connessi in un mondo in cui non ci riconosciamo più. Stacchiamoci per un momento da tutto, ritorniamo al nostro io più vero, dentro di noi troveremo la pace per sopportare le assurdità che stiamo vivendo. Posiamo lo smartphone, premiamo play e lasciamoci andare, come ai vecchi tempi. Potere della Musica.