Se il 2021 è stato l’anno di Dua Lipa, il 2022 potrebbe essere quello di Rosalia. L’artista catalana ha finalmente completato Motomami, arrivato dopo tre anni di intenso lavoro e dopo una serie di singoli a coprire uno spettro stilistico molto vario, che non lasciavano presagire granché della direzione futura.
Rosalia Vila Tobella è già di per sé una figura singolare nel mondo del Pop: ha esordito nel 2017 con Los Angeles, prodotto da un nome importante come Raul Refree, che era sostanzialmente un disco di Flamenco contemporaneo. Lo ha studiato a Barcellona per parecchi anni (ha frequentato la celebre Scuola superiore di musica catalana, l’Esmuc), è cresciuta con l’Hip Hop e il Reggaeton ma alla fine è quello il genere che l’ha avviata alla carriera di musicista.
L’esplosione vera e propria è arrivata solo l’anno successivo: El Mar Querer conservava la matrice del predecessore ma la contaminava abbondantemente con l’elettronica e con diverse soluzioni moderne e sperimentali in sede di scrittura. Il risultato fu qualcosa di unico, vecchio e nuovo al tempo stesso, un disco di musica Pop con però un retroterra colto e sofisticato. Non a caso finì ai primissimi posti di parecchie classifiche di fine anno e il tour che ne seguì si tradusse in un mezzo trionfo. Io stesso la vidi prendersi con disinvoltura il Main Stage del Primavera Sound, ipnotizzando per un’ora e mezza una folla adorante, un concerto di livello assoluto, con la ciliegina sulla torta di James Blake che la raggiunge per una memorabile versione di “Barefoot in the Park”.
Il successo, a questo punto scontato, di “Con Altura”, realizzata assieme a J Balvin qualche mese dopo, avrebbe potuto far pensare ad un voler seguire la via più facile, abbracciando l’amore giovanile per il Reaggaeton e scalando le classifiche con il genere più popolare dell’America Latina. Niente di più sbagliato: dopo una manciata di singoli su quella falsariga e collaborazioni nei singoli degli artisti più disparati (Travis Scott, Ozuna, Billie Eilish) Rosalia ha dimostrato nuovamente che, in un mercato sempre più dominato dall’immediatezza e dalla frammentarietà dei singoli, è ancora possibile uscire con un prodotto organico, fortemente coeso e caratterizzato da una narrazione profonda.
Motomami non è solo un disco che racconta una storia come se fosse “l’immagine scattata da un fotografo”, sorta di “autoritratto dell’artista nel mondo moderno”, come l’ha definita lei, ma mette in mostra allo stesso tempo un cambio di direzione che solo a chi non la conosce più che bene potrebbe apparire spiazzante. Perché se è vero che El Mar Querer ha rappresentato (secondo le parole di Pedro G. Romero, uno dei primi ad averle fornito l’ispirazione per quel disco) il tentativo di fare col Flamenco quello che Beyoncé e Rhianna avevano fatto col Soul, vale a dire farlo diventare materiale da musica Pop, è altrettanto acclarato che aveva già ampiamente dimostrato di potersi muovere con disinvoltura in altri territori.
Quel che colpisce è innanzitutto il numero dei collaboratori di cui si è circondata: se l’album precedente vedeva in sostanza il solo El Guincho nel ruolo di produttore, a questo giro la lista è lunga. Michael Uzowuru, Noah Goldstein sono i principali ma a questi se ne aggiungono tanti altri suddivisi nelle varie tracce: Sir Dylan, Ging, Tainy, Sky Rompiendo, lo stesso El Guincho, giusto per citarne alcuni.
È una tendenza da sempre viva nella musica Pop, che in tanti hanno stigmatizzando sostenendo che renderebbe artificiale il prodotto e inutile il ruolo dell’artista. La verità è un’altra, come del resto è Rosalia stessa ad avere più volte chiarito: le scelte le fa lei, ogni collaborazione è voluta e vagliata da lei; fare le scelte giuste, saper capire a chi di volta in volta sia il caso di affidarsi, è una dote come tante altre ed è giusto che le venga riconosciuta.
Motomami, che deve la sua primissima ispirazione a Nina Simone e Chavela Vargas e che a partire dal titolo sembra voler riflettere anche sul ruolo della donna nella società, non solo dell’artista (c’è un’allusione diretta alla passione che Rosalia ha per le moto, passione condivisa con la madre, che ne ha sempre guidata una), è senza dubbio l’opera più variegata da lei realizzata fin qui. Un disco quasi enciclopedico, per il numero di generi espressi (Dembow, Champeta, Bachata, Reggaeton, Flamenco, Hip Hop, la musica elettronica più spinta) ma allo stesso tempo la forte personalità della cantante a fungere da collante.
Un disco quindi sorprendentemente omogeneo, nonostante tra episodi come “Saoko”, “Chicken Teriyaki”, “Bizcochito” e “CUUUUuuuuuute”, caratterizzati da suoni sporchi e da una sezione ritmica spigolosa e irregolare, e ballate dal sapore malinconico come “Hentai” e “G3N15” ci sia una bella differenza. Ma non solo. Con “La Fama” si riallaccia alle sue radici spagnole, costringendo The Weeknd a seguirla su un terreno a lui non congeniale (e lui raccoglie la sfida e rilancia alla grande, direi); nella tenebrosa “Candy” la sua vocalità si fa eterea, ad un certo punto compare un sample di Burial e l’atmosfera generale guarda molto da vicino le prime cose di Billie Eilish. “Bulerias” ritorna sul Flamenco ma lo fa in modo atipico: niente chitarre, solo controcanti, battimani e percussioni, la sua voce in primo piano, in un vortice travolgente d’intensità. Questo omaggio alla tradizione continua con “Delirio de Grandeza”, rilettura di un successo del salsero cubano Justo Betancourt. È un brano che, esattamente come “La Fama”, riflette sui downside della celebrità e l’interpretazione offerta è assolutamente da pelle d’oca. Non credo ce ne sia bisogno, e sarebbe decisamente grave, ma se qualcuno pensasse a Rosalia come una popstar senz’anima e a Motomami come al “solito” disco Pop, l’ascolto di questa traccia fugherebbe ogni dubbio.
“Diablo” ci restituisce un James Blake molto più a fuoco rispetto all’ultimo disco e la compenetrazione tra i due nell’arco del pezzo è perfetta. “La Combi Versace”, con la presenza della colombiana Tokischa, è forse il brano più irriverente e “volgare” del lotto ed è assolutamente irresistibile, da tanto è sguaiato ma allo stesso tempo secco e scarno, in linea con le scelte di produzione di gran parte dell’album.
Il finale con “Sakura” parla di solennità ma anche di fragilità, è un brano forse meno incisivo rispetto agli altri nominati ma chiude il cerchio piuttosto bene e ancora una volta mostra Rosalia come la grande interprete che è.
Motomami è il disco Pop del 2022 e questo sarà l’anno di Rosalia. Sarebbe bello vederla dalle nostre parti ma penso che al momento sia chiedere troppo.